Benvenuto al quotidiano appuntamento con l’aggiornamento sui mercati finanziari. La Francia è sull'orlo di una crisi politica che potrebbe scatenare turbolenze economiche e finanziarie in tutta l'Eurozona.
Prima di affrontare nel dettaglio questi sviluppi, diamo uno sguardo all'andamento dei principali indici nella seduta di ieri.
Le performance dei mercati finanziari principali
🇺🇸 S&P500: +0,24%
🇺🇸 NASDAQ: +0,97%
🇮🇹 FTSE MIB: +0,21%
🇪🇺 € STOXX 600: +0,66%
🇨🇳 SZSE COMPONENT: -0,40%
🇮🇳 NIFTY 50: +0,64%
🇯🇵 NIKKEI 225: +1,84%
💵 EUR/USD: -0,02%
🥇 ORO: +0,44%
Seduta positiva per Wall Street, con l'S&P 500 che sale dello 0,24% e il Nasdaq che guadagna lo 0,97%, trainato dai titoli tech dopo le nuove restrizioni USA sull'export di chip verso la Cina, che dovrebbero avvantaggiare i produttori globali di semiconduttori al di fuori del paese asiatico.
Performance positiva anche in Europa, dove l'Euro Stoxx 600 avanza dello 0,66% e il Ftse Mib guadagna lo 0,21%, nonostante le tensioni politiche in Francia dove il governo Barnier rischia la crisi. Gli operatori guardano anche all'incontro OPEC+ del 5 dicembre, dove potrebbe essere esteso l'ultimo round di tagli alla produzione fino al primo trimestre 2025. Gli operatori osservano con particolare attenzione l'evoluzione del risiko bancario dopo l'OPS di UniCredit su Banco BPM, con sotto i riflettori anche BPER, Popolare di Sondrio e Credem. Male Stellantis (-6,30%) dopo le dimissioni del ceo Tavares.
Rialzi consistenti in Asia, con il Nikkei giapponese che balza dell'1,84% grazie al rally dei titoli tecnologici come Tokyo Electron (+4%) e Advantest (+3%). In controtendenza la Cina, dove il Shenzhen Component cede lo 0,40% dopo le nuove restrizioni USA sui chip e le minacce di Trump di imporre dazi del 100% ai paesi BRICS. Bene l'India (+0,64%).
Sul mercato valutario l'euro è poco mosso sul dollaro (-0,02%), mentre l'oro sale dello 0,44% a 2.670 dollari l'oncia. Lo yuan tocca i minimi da un anno sui timori di nuovi dazi USA.
Francia nel caos: una crisi che minaccia la stabilità dell'Eurozona
La Francia si trova sull'orlo di una crisi politica che potrebbe avere ripercussioni significative sull'intera Eurozona. Il governo di minoranza guidato da Michel Barnier, in carica da soli due mesi, affronta una mozione di sfiducia presentata congiuntamente dal Rassemblement National e dalla sinistra radicale. Se approvata, come sembra probabile dato che l'opposizione ha i numeri necessari, porterebbe alla prima caduta di un governo francese tramite mozione di censura dal 1962.
La crisi nasce dal tentativo di Barnier di far passare una manovra finanziaria da 60 miliardi di euro tra aumenti fiscali e tagli alla spesa, finalizzata a ridurre il deficit dal 6,1% al 5% del PIL. Nonostante le concessioni dell'ultimo minuto, come l'abbandono dell'aumento delle tasse sull'elettricità, il governo sembra destinato alla caduta, con il voto atteso tra domani e venerdì.
L'impatto economico potrebbe essere significativo: senza un bilancio approvato entro fine anno, la Francia dovrebbe ricorrere a una legislazione d'emergenza mai testata per evitare lo shutdown. Questo significherebbe prorogare automaticamente i limiti di spesa e le disposizioni fiscali dell'anno precedente, impedendo l'implementazione delle nuove misure correttive previste dalla manovra.
Secondo le stime del Ministero delle Finanze francese, le conseguenze sarebbero severe proprio per l'impossibilità di applicare le nuove esenzioni e agevolazioni fiscali programmate: 380.000 nuove famiglie si troverebbero a pagare le tasse sul reddito perché verrebbero meno gli sgravi previsti, mentre altri 18 milioni di contribuenti vedrebbero aumentare le loro bollette per la mancata proroga delle attuali misure di sostegno energetico. Inoltre, l'assenza di un bilancio approvato impedirebbe l'avvio di nuovi programmi di spesa, bloccando sia il piano di aiuti previsto per gli agricoltori che le assunzioni programmate nelle forze di polizia.
Sul fronte finanziario, i mercati hanno già iniziato a punire il debito francese. In un ribaltamento storico dei ruoli, i rendimenti dei titoli di Stato decennali francesi hanno brevemente superato quelli greci, toccando il 3,02% contro il 3,01% mentre lo spread con i Bund tedeschi si è allargato a 88 punti base, vicino ai massimi dal 2012.
La pressione sui mercati finanziari francesi è evidente anche dall'andamento del CAC 40, che ha perso oltre il 13% da maggio, registrando la performance peggiore tra i principali indici europei. Gli investitori istituzionali hanno aumentato le loro posizioni ribassiste sul debito francese ai massimi dalla crisi finanziaria del 2008.
La crisi politica francese arriva in un momento particolarmente delicato per l'Europa, con la Germania in fase pre-elettorale e un contesto globale sempre più incerto, caratterizzato dalle crescenti tensioni geopolitiche e dal possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca. Le ripercussioni sull’Eurozona potrebbero essere significative, non solo per il peso economico della Francia, ma anche per il rischio di contagio sui mercati finanziari.
Come muoversi da investitori
Il caso francese evidenzia come il rischio paese sia un fattore che si sviluppa gradualmente nel tempo. L'aumento del costo del debito francese è infatti il risultato di problemi strutturali di lungo periodo, dal crescente deficit pubblico alle difficoltà di riforma, che l'attuale crisi politica ha solo fatto emergere con maggiore evidenza. Una lezione importante per gli investitori: i segnali di deterioramento del rischio paese vanno monitorati e anticipati, senza dare per scontata la solidità di alcun mercato, nemmeno tra le economie considerate core.
Il caso francese non rappresenta un'eccezione isolata, ma offre spunti rilevanti anche per altri contesti, come quello italiano. Sebbene l’Italia abbia registrato alcuni miglioramenti rispetto alle fasi più critiche del passato, la situazione economica e finanziaria del paese rimane fragile. Gli investitori italiani, infatti, tendono spesso a sovraesporre i propri portafogli al mercato domestico, un comportamento noto come home bias. Questa inclinazione, pur comprensibile per vicinanza e familiarità, rischia di accentuare l’esposizione a vulnerabilità strutturali, come l’elevato debito pubblico e le sfide economiche e politiche che continuano a caratterizzare il paese.
La diversificazione, in particolare quella geografica, non è soltanto una strategia prudente, ma rappresenta il pilastro di una gestione efficace del rischio oltre che essere una componente essenziale per costruire portafogli resilienti e orientati alla crescita sostenibile nel lungo termine.
Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda e noi ci sentiamo, come sempre, all’aggiornamento di domani.
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