Ogni mese quando arriva lo stipendio una delle prime cose che facciamo è controllare la busta paga. Ed è lì che salta subito all’occhio una cosa: una parte consistente della retribuzione è già sparita, ancora prima di finire sul conto.
Come funziona il sistema pensionistico italiano
Ogni mese quando arriva lo stipendio una delle prime cose che facciamo è controllare la busta paga. Ed è lì che salta subito all’occhio una cosa: una parte consistente della retribuzione è già sparita, ancora prima di finire sul conto.
Quella fetta trattenuta dalla nostra retribuzione sono i contributi previdenziali, ovvero i versamenti obbligatori che finiscono nelle casse dell’INPS.
I contributi sono il nostro "investimento" per garantirci una pensione futura, oltre che tutte quelle tutele che dovrebbero proteggerci durante la vita lavorativa: malattia, maternità e via dicendo.
Un investimento che facciamo sulla fiducia, perché, diciamolo, sul quando e sul quanto andremo davvero in pensione, le certezze non sono poi così tante.
Su uno stipendio di 2.500 euro lordi mensili, i contributi previdenziali assorbono circa 825 euro - il 33% del totale. Il lavoratore ne vede trattenuti il 10% dalla busta paga, mentre il restante 23% lo paga il datore di lavoro. Per gli autonomi, pur con percentuali più basse (24-26%), l'intero onere è a carico proprio.
Ma cosa succederebbe se invece di versare questi soldi all'INPS, potessimo gestirli direttamente noi per costruire la nostra pensione? Esistono delle alternative a questo sistema? La nostra pensione sarebbe più alta o più bassa?
La pensione costruita da noi
In uno scenario in cui dovesse venire meno un istituto di previdenza come l’Inps, ognuno di noi si ritroverebbe ad avere il bisogno (se non vuole lavorare fino alla fine dei suoi giorni) di risparmiare necessariamente del denaro.
Invece di versare i contributi in un fondo comune come l’INPS, ogni lavoratore potrebbe mettere da parte una quota del proprio reddito in un conto personale. Quanto? Se oggi versiamo il 33% del lordo all'INPS, potremmo usare la stessa percentuale come riferimento. Su uno stipendio di 2.500 euro mensili significherebbe 825 euro al mese.
825 euro al mese per 40 anni fanno un totale di 396.000 euro effettivamente accantonati. Un’ottima cifra diciamo…
A quel punto però limitarsi a tenere questi soldi fermi sarebbe un errore: l'inflazione nel tempo ridurrebbe drasticamente il loro valore reale, e non ci sarebbe alcuna crescita.
Per questo motivo sarebbe necessario investire questi soldi con un rendimento che almeno superi l'inflazione e offra una rivalutazione nel tempo.
Supponendo un rendimento medio annuo del 4% - performance assolutamente abbordabile con un profilo di rischio contenuto - quegli stessi 825 euro mensili per 40 anni diventerebbero un capitale di 980.000 euro. Si hai capito bene…quasi un milione di euro! Ben oltre i 396.000 euro effettivamente versati.
Non è fantascienza, semplicemente è il potere dell’interesse composto. Se mi seguite da tempo sapete perché tendo così tanto ad enfatizzare questo concetto.
Arrivati al pensionamento e con quasi 1 milione di euro in nostro possesso arriveremmo al punto di chiederci come potremmo usare questo capitale per vivere una pensione serena? Che tipo di pensione ci garantirebbe?
Secondo l'OCSE, la speranza di vita media in Italia è intorno agli 83 anni. Se ci pensionassimo a 67 anni, dovremmo pianificare una rendita da distribuire su circa 16 anni. Se consumassimo tutto il capitale in questo arco di tempo, potremmo ricevere circa 5.100 euro lordi al mese (corrispondenti a circa 3.800 euro netti).
Tuttavia, vivere consumando tutto il capitale comporta il rischio di esaurire le risorse nel caso si superasse la speranza di vita media. E questo è uno scenario poco piacevole.
Per questo motivo, un’alternativa più prudente è vivere solo dei rendimenti di quanto abbiamo risparmiato, mantenendo intatto il capitale.
Con un tasso di prelievo del 3%, il nostro patrimonio ci consentirebbe di incassare poco meno di circa 30.000 euro all'anno, 2.450 euro lordi al mese (circa 1.800 euro netti), potenzialmente a tempo indefinito.
Per fare un confronto, con le attuali regole del sistema pubblico, lo stesso lavoratore con quel livello di contributi potrebbe aspettarsi una pensione mensile stimata tra 1.700 e 1.800 euro. Insomma, parliamo di cifre comparabili.
Alla luce di ciò quindi ti potresti creare una pensione identica, o quasi, a quella pubblica…ma con una differenza: il montante ti rimane in mano.
Nel modello individuale, il capitale accumulato infatti è tuo a tutti gli effetti. Se non lo utilizzi tutto, o se dovessi venire malauguratamente a mancare, quel patrimonio resta alla tua famiglia.
Nel sistema pubblico, invece, i contributi versati non costituiscono un patrimonio personale: la pensione, salvo rare eccezioni, si estingue con te.
Posta così, costruirsi da soli una pensione, sembrerebbe la scelta più lungimirante: ciascuno di noi si risparmia il montante per la sua pensione e comunque vada ha addirittura la possibilità di lasciare un montante agli eredi, magari evitandogli diversi anni di risparmio.
Ma perché allora non adottiamo questo sistema? Perché in Italia è un’utopia? Quali problematiche di nascondono dietro questa ipotesi?
Perché non è cosi semplice
Una transizione verso un sistema privato dovrebbe affrontare diversi ostacoli, ciascuno con le proprie complessità.
Innanzitutto, c’è un problema strutturale: il sistema previdenziale italiano non funziona come un conto personale dove i contributi si accumulano per il proprio futuro. La realtà è molto diversa e basata sul criterio ripartizione: i soldi che versi oggi non ti costruiscono direttamente la pensione, ma servono per pagare chi è già in pensione.
E qui arriviamo al primo fattore problematico. Il sistema INPS è già oggi in seria difficoltà: nel 2023 ha raccolto 215 miliardi di euro di contributi ma ne ha dovuti erogare 270 miliardi. Il buco di bilancio che si crea viene tappato ogni anno con le tasse di tutti noi, il che significa che il sistema pensionistico italiano dipende già massicciamente dal debito pubblico per sopravvivere.
E la situazione può solo peggiorare visto che ci saranno sempre più pensionati e sempre meno lavoratori. Un sistema già in affanno diventa difficilmente sostenibile…
“E allora cambiamolo questo sistema!" - potresti pensare. Bella idea, peccato che una transizione verso il sistema privato richiederebbe costi aggiuntivi folli per 20-30 anni: lo Stato dovrebbe continuare a pagare le pensioni attuali (già in deficit) e permettere ai giovani di accumulare nel nuovo sistema.
Parliamo di centinaia di miliardi aggiuntivi per un Paese che già fatica a coprire il disavanzo previdenziale esistente. Non esiste un "fondo" da convertire.
Ma siccome questa analisi è un’ipotesi puramente teorica, immaginiamo che nonostante la situazione del Paese magicamente si trovino i soldi per fare una transizione. Quali sono le altre complessità?
Il secondo fattore riguarda le competenze individuali. Nessuno ci ha mai insegnato come investire, quindi è normale che facciamo errori: preferiamo la sicurezza del presente all'incertezza del futuro, sottovalutiamo i rischi, e nelle crisi tendiamo a reagire d'impulso.
Il terzo aspetto riguarda il ruolo sociale dell’INPS. I contributi che versiamo non servono solo a finanziare la nostra futura pensione, ma anche a garantire un minimo di tutela a chi ha avuto carriere discontinue, redditi bassi o difficoltà lavorative.
Nel sistema pubblico, anche chi ha versato poco riceve comunque qualcosa.
Nel sistema privato è diverso: hai versato tanto? Prendi tanto. Hai versato poco? Prendi poco. E se smetti di versare, smetti anche di accumulare.
Ognuno di noi dovrebbe per forza integrare una componente assicurativa nella propria pianificazione, sia per tutelare la fase di accumulo, sia per tutelarsi in mancanza della possibilità di lavorare”
E questo avrebbe un costo non da poco per ciascun cittadino.
Tutti questi ostacoli rendono evidente perché un sistema completamente privato sulla carta può sembrare una bella idea, ma nella realtà di oggi è semplicemente irrealizzabile.
Concludiamo con un’ultima domanda. Usciamo dall’Italia.
Come funziona all'estero
C’è qualche Paese in cui si fa già?
La risposta è sì, e le esperienze sono state molto diverse tra loro.
Singapore viene spesso citato come modello di successo, ma le condizioni sono molto specifiche. Singapore è una sorta di città-Stato ricchissima con 6 milioni di abitanti con un elevato di educazione finanziaria e un governo che può permettersi di garantire forti tutele statali accanto ai conti individuali. Difficilmente replicabile…
L'Australia ha scelto una strada più graduale. Ha mantenuto una pensione pubblica di base aggiungendo contributi obbligatori del 12% che finiscono in conti individuali. Il sistema ha funzionato discretamente, ma è aiutato da decenni di crescita economica stabile e investimenti massicci nell'educazione finanziaria della popolazione.
Diversa la storia del Cile, che nel 1981 ha fatto il grande salto sostituendo completamente il sistema pubblico con conti privati. Dopo quarant'anni, il risultato è deludente: oltre il 70% dei pensionati riceve meno del salario minimo nazionale. Le commissioni delle società di gestione hanno eroso i rendimenti mentre le carriere discontinue hanno portato a montanti insufficienti.
Anche negli Stati Uniti la situazione non è rosea. I famosi piani 401(k) funzionano bene solo per chi ha le competenze per usarli correttamente, mentre milioni di americani arrivano alla pensione con risparmi del tutto inadeguati.
Ora, dopo aver analizzato tutta la situazione, arriviamo alla domanda che conta davvero: tu cosa dovresti fare?
Beh, di certo con la quota di contributi che paghi oggi sei obbligato a crearti una pensione pubblica. Nulla però ti impedisce di costruire parallelamente qualcosa di tuo, qualcosa su cui hai controllo diretto.
Puoi già oggi replicare la strategia che abbiamo visto, affiancando al pilastro pubblico una previdenza complementare: fondi pensione, piani di accumulo...la scelta dipende dalla tua situazione specifica, ma il punto è iniziare. Certo, comporta qualche sacrificio in più, ma ti garantisce quella sicurezza che il sistema pubblico da solo difficilmente potrà offrirti.
E questo è quello che faccio ogni giorno: aiutare le persone a plasmare concretamente il loro futuro previdenziale, trasformando le buone intenzioni in strategie concrete e personalizzate.
Ma ora voglio sapere la tua: credi che lo Stato debba sempre intervenire per tutelare tutti, oppure pensi che ognuno dovrebbe prendersi la responsabilità del proprio futuro? Da che parte stai?
Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.
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