Xbox: flop o successo per Microsoft?

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Era il 1998 quando quattro ingegneri del team DirectX di Microsoft iniziarono a discutere di un'idea folle: entrare nel mercato delle console. L’idea era competere con Sony e Nintendo usando tecnologia da PC

L'idea nacque da una paura concreta. Sony aveva appena annunciato la PlayStation 2 come una console che avrebbe potuto sostituire il PC. Per Bill Gates era una minaccia esistenziale: se le console avessero eliminato l’interesse per i computer, Windows sarebbe stato in pericolo.

Oggi ci sembra strano - console e PC sono mercati distinti con usi diversi - ma all'epoca il confine era più sfumato e la preoccupazione di Microsoft era reale.

Gates diede il via libera al progetto, ma con un nome che la diceva lunga: "Coffin Box" - la bara. C'era il terrore che il progetto avrebbe distrutto le carriere di tutti.

Il team costruì i primi prototipi di console comprando computer Dell e usando i loro componenti interni. L'approccio era rivoluzionario: invece di hardware proprietario costoso, Xbox avrebbe usato componenti PC standard - più economici, più potenti, più facili da aggiornare.

Quando la prima Xbox venne lanciata il 15 novembre 2001 a 299 dollari, Microsoft perdeva circa 125 dollari per ogni console venduta. Il costo di produzione era infatti di 425 dollari. Nel primo anno vendettero 1,5 milioni di unità - oltre 187 milioni di dollari bruciati solo sulle console.

Ma perché vendere sottocosto? L’idea era che il vero guadagno non dovesse tanto venire dal dispositivo stesso, ma da tre fonti: 

  • i giochi - con una commissione del 30% su ogni titolo venduto; 
  • gli abbonamenti - Xbox Live, per giocare online, lanciato nel 2002 portava entrate ricorrenti; 
  • e gli accessori - controller, memory card, periferiche.

E soprattutto serviva convincere la gente a comprare una console di un brand mai sentito, doveva avere un prezzo accessibile. 

Ma il prezzo competitivo da solo non bastava. Per sfondare in un mercato dominato dalla PlayStation 2 e Nintendo, serviva un titolo capace di vendere la console. Ed infatti il lancio aveva un'arma segreta: il videogioco Halo. Microsoft aveva acquisito lo studio Bungie per assicurarsi l'esclusiva. Halo vendette 1 milione di copie entro aprile 2002, con un attach rate del 50% - una persona su due che comprava Xbox comprava anche Halo.

Nonostante il successo iniziale, i conti continuavano a non tornare. Nel 2002 Microsoft abbassò ulteriormente il prezzo a 199 dollari per competere con Sony, ma le perdite aumentarono. Vennero vendute 24 milioni di console contro l’obiettivo di 50 milioni, mentre la PlayStation 2 ne piazzava 106 milioni, accumulando così oltre 4 miliardi di perdite.

Eppure, Microsoft non mollò.

Nel 2005, grazie anche all’esperienza accumulata arrivò l’Xbox 360. Questa volta lancio anticipato di un anno rispetto a PlayStation 3, costi ridotti, Xbox Live rafforzato, focus totale sui contenuti.

Funzionò. Xbox 360 vendette 84 milioni di unità - più del triplo della prima Xbox - e soprattutto generò finalmente degli effettivi profitti. Per la prima volta il modello funzionava.

Nel 2013 però, un altro errore: fu presentata l’Xbox One come un "centro di intrattenimento completo" con TV, streaming e Kinect. Prezzo? 499 dollari contro i 399 di PlayStation 4. I giocatori non volevano una console TV, volevano giocare. E non volevano pagare 100 dollari in più per funzionalità inutili.

Il risultato fu ancora una volta un dominio SONY: PlayStation 4 vendette oltre 117 milioni di unità contro i 58 milioni di Xbox One. Microsoft aveva dimenticato la lezione base: conosci il tuo cliente. Fu necessario un rapido dietrofront - rimuovendo Kinect, abbassando il prezzo - ma il danno era fatto.

Dopo Xbox One, Microsoft si trovava di fronte a una scelta: continuare a inseguire Sony nella guerra delle console, o ripensare completamente il modello di business.

Nel 2014 Phil Spencer divenne capo della divisione Xbox e dichiarò un obiettivo che sembrava irrealistico: raggiungere 3 miliardi di giocatori nel mondo. Con le sole console era matematicamente impossibile.

Una possibile soluzione arrivò nel 2017 con Xbox Game Pass: un abbonamento mensile che dava accesso a un catalogo di oltre 100 giochi. Il modello cambiava la natura del business: da vendite sporadiche di hardware e software a entrate ricorrenti e prevedibili. I margini operativi dei servizi digitali sono significativamente superiori a quelli dell'hardware - stimati oltre il 40% contro il 5-10% delle console (quando non sono vendute in perdita).

Nel 2020 arrivò Xbox Cloud Gaming, che permetteva di giocare via streaming senza possedere una console. Xbox stava diventando un ecosistema software accessibile su qualsiasi dispositivo.

Il passo successivo fu l'acquisizione più grande nella storia dei videogiochi: Activision Blizzard per 68,7 miliardi di dollari, annunciata nel gennaio 2022. Activision generava circa 8,8 miliardi di dollari annui con margini operativi superiori al 30%. Microsoft non comprava solo studi di sviluppo, ma franchise consolidati come Call of Duty, World of Warcraft e Candy Crush.

Microsoft poi iniziò a sorpresa a pubblicare i propri giochi anche su PlayStation e Nintendo Switch. Nel 2025, sette dei 25 giochi più venduti su PlayStation Store erano pubblicati da Xbox Game Studios. 

Era il segnale più chiaro del cambio di rotta: Xbox aveva smesso di competere per vendere più console di Sony, lavorava per massimizzare i ricavi dai contenuti indipendentemente dalla piattaforma.

Come va XBOX oggi?

Ma questo cambio di strategia si sta traducendo in risultati concreti? 

Nel bilancio chiuso a giugno 2025, la divisione gaming di Microsoft ha registrato ricavi per 23,5 miliardi di dollari, in aumento del 9% rispetto all’anno precedente.
Per comprendere la portata di questo risultato, occorre guardare indietro: solo due anni prima, nel 2023, i ricavi erano intorno ai 15,5 miliardi, segno che in due esercizi il business è cresciuto di oltre il 50%.

Tuttavia, la spinta principale è arrivata dall’acquisizione di Activision Blizzard, completata nell’ottobre 2023. ’integrazione del colosso di fatto balzare i ricavi del 39% nel FY2024, portando all’interno di Microsoft una massa critica di utenti e contenuti senza precedenti.

Il FY2025 segna invece un punto di normalizzazione: la crescita del 9% riflette la maturazione dell’effetto Activision e un’espansione più organica dei servizi.
Il dato più significativo è la ricomposizione interna del fatturato:

  • Contenuti e servizi: +16% 
  • Hardware: –25% 

Xbox Game Pass ha generato quasi 5 miliardi di ricavi annui, mentre Call of Duty: Black Ops 6 ha totalizzato 50 milioni di giocatori con oltre 2 miliardi di ore di gioco. Il cloud gaming ha registrato 140 milioni di ore solo nel Q4, con la piattaforma che raggiunge 500 milioni di utenti attivi mensili su tutte le piattaforme.

Questo incremento di utenti e servizi ha portato a un miglioramento della profittabilità della divisione: i servizi digitali registrano margini operativi tra il 40 e il 45%, molto più elevati rispetto all’hardware, che fatica a superare il 5-10%.

Quindi, Microsoft può considerarsi già un successo nel gaming? In parte sì: i risultati attuali sono solidi, ma il futuro non è privo di rischi.

Il primo riguarda il cannibalismo interno: se Game Pass cresce troppo, può ridurre le vendite dei giochi a prezzo pieno. Un abbonato che spende 180 dollari l’anno porta meno ricavi rispetto a chi acquista tre titoli da 70 dollari più contenuti aggiuntivi, un po’ come è successo a Netflix nel passaggio dai DVD allo streaming

Il secondo rischio riguarda l’identità del brand. Se i giochi Microsoft arrivano su tutte le piattaforme, perché un giocatore dovrebbe spendere 500 dollari per una Xbox? In passato erano le esclusive a guidare la scelta: volevi Halo, compravi Xbox; volevi Zelda, compravi Nintendo.

Oggi Microsoft punta su un modello diverso: il valore non risiede più nell’hardware, ma nell’ecosistema di servizi. È una scommessa ambiziosa, e solo il tempo dirà se pagherà.

Il segmento dei videogiochi rappresenta circa il 10% del fatturato: una componente importante per ma ancora marginale rispetto al core business di Azure e del software enterprise.

Dal punto di vista dell’investitore, questo è un aspetto cruciale. Chi compra azioni Microsoft lo fa soprattutto per quei rami dell’azienda, non per Xbox. 

Tuttavia, il gaming resta un tassello strategico: un settore ad alto potenziale che l’azienda non intende abbandonare, perché rappresenta una porta d’accesso privilegiata al pubblico consumer e un laboratorio di innovazione tecnologica.

Il mercato videoludico vale oggi oltre 300 miliardi di dollari e cresce a un ritmo di circa il 10% annuo, superando per dimensioni cinema e musica combinati. È il principale settore dell’intrattenimento globale, trainato dal mobile gaming e dagli esports, che coinvolgono centinaia di milioni di utenti. Un megatrend che Microsoft intende presidiare, anche se al momento ne sfrutta solo parzialmente il potenziale.

Rispetto a competitor come Roblox, Tencent, Nintendo ed EA, che vantano modelli di business più focalizzati e margini superiori al 20-30%, Microsoft adotta un approccio più strategico che pur sacrificando la redditività diretta, rafforza l’intero ecosistema: il gaming genera dati, consolida la presenza nel mercato consumer e crea sinergie con il cloud.

Conclusioni

Negli anni, Microsoft avrebbe probabilmente fallito se avesse continuato a puntare solo sull’hardware. Dopo una lunga rincorsa ai competitor, era evidente che la battaglia delle console non fosse una strada sostenibile. La svolta è arrivata con il passaggio dal prodotto all’ecosistema, puntando sulla creazione di valore attraverso i servizi.

Dell’Xbox tradizionale resterà probabilmente un simbolo tecnologico e identitario, ma il cuore della strategia è ormai altrove: nella capacità di integrare esperienze, servizi e tecnologie in un ecosistema unico, che si inserisce nella catena del valore di chi, un tempo, era il principale rivale.

E tu, cosa ne pensi? Che ne sarà di Xbox? Microsoft riuscirà a trasformare il ramo del gaming in un business davvero profittevole, o resterà una componente marginale nelle sue attività?

Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.

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Davide Berti, consulente finanziario

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