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In questo articolo andiamo ad analizzare le altre tipologie di investimento sulle quali gli italiani del XX secolo facevano affidamento: gli immobili, i libretti postali e i certificati di deposito.
Questi investimenti, così come quelli in BTP, sono sempre stati etichettati e considerati dagli italiani come degli “ottimi investimenti” in quanto erano caratterizzati da rischi bassissimi.
Questa credenza si rispecchiava soprattutto nell’ambito immobiliare. Le persone consideravano (e talvolta ancora considerano) l’investimento nei mattoni come il miglior investimento possibile poiché avevano la credenza e addirittura la convinzione che il mattone si rivaluta sempre. Questo pensiero non è corretto infatti lo comprovano molti fatti storici, come per esempio la crisi del 2008 in cui il prezzo degli immobili è sceso notevolmente.
Ma come mai i nostri antenati vedevano nell’investimento immobiliare il miglior investimento possibile? Per comprendere ciò bisogna fare un ragionamento: nel XX secolo le persone erano convinte che il valore degli immobili continuasse ad aumentare non a causa dell’elevata inflazione ma a causa della loro continua rivalutazione nel tempo. Il fenomeno dell’inflazione in quegli anni veniva trascurato dagli italiani anche se tale fenomeno rendeva apparentemente esagerato il reale valore dell’immobile. Tale valore generato dagli immobili, così come qualunque altro investimento originato da un’attività, ha dovuto quindi scontrarsi con il fenomeno dell’inflazione e di conseguenza il guadagno nominale è stato eroso fino ad annullarsi.
Per fare un esempio, basti pensare che tra gli anni Settanta e Ottanta vi è stato un apprezzamento degli immobili del 10% l’anno, ovvero un aumento di oltre il 10% all’anno sul controvalore degli immobili; nello stesso periodo però vi era un valore dell’inflazione attorno al 13%, di conseguenza l’effettivo apprezzamento in conto capitale è stato completamente eroso.
Gli italiani avevano particolare interesse ad acquistare gli immobili anche per altre due motivazioni:
Le persone non avevano difficoltà a raccontare ad altri quanti immobili possedevano, mentre avevano difficoltà a far sapere ai conoscenti quanto denaro era depositato sul conto corrente bancario o postale. Si può dire che nel primo caso era accettato socialmente il fatto di poter esternare il numero di asset immobiliari di proprietà, nel secondo caso, invece, poteva essere considerata una vanteria mostrare il quantitativo di soldi investiti in azioni.
Le motivazioni sopra elencate, in larga misura puramente emotive e irrazionali, hanno spinto le persone ad acquistare immobili piuttosto che investire in azioni. Gli investitori hanno guadagnato molto in conto capitale, ma in termini di guadagno nominale e non reale.
Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio in quanto non è possibile stimare ex ante una media della redditività degli immobili nel tempo perché le trattative sono uniche e singolari (vi sono molti esempi di persone che si sono arricchite anche investendo in immobili).
Ciò per dire che non si deve escludere a priori la possibilità di considerare gli immobili come asset di investimento, tuttavia pensare che sia la miglior scelta sempre e comunque senza riflettere, è assolutamente sbagliato.
Analizziamo adesso la situazione che vi era in Italia nel XX secolo rispetto ai prodotti bancari e postali. Questi erano caratterizzati dai classici conti remunerati, certificati di deposito e libretti postali, i quali erano sostenuti dallo Stato che garantiva le somme depositate e allo stesso tempo dava sicurezza agli investitori (così come accadeva per i titoli di stato). Gli strumenti sopra citati sono stati prodotti e venduti in grande quantità in quanto erano caratterizzati dalla comodità e dalla semplicità di acquisto.
Le persone nel XX secolo tendevano ad acquistare immobili, titoli di stato e libretti postali/bancari perché vedevano in questi strumenti un buon guadagno nominale, perché non avevano competenze in campo finanziario, perché nelle banche venivano spinti questi prodotti, perché veniva visto un continuo apprezzamento degli immobili (ma non veniva considerato l’apprezzamento reale) e, infine, perché alla base di tutto vi era lo Stato, il quale garantiva per il benessere generale della situazione (stampava un quantitativo esagerato di moneta che alimentava in modo significativo l’inflazione).
La presenza di queste possibilità di investimento apparentemente ottime ma effettivamente non buone, ha fatto si che la popolazione rimanesse finanziariamente non istruita e non interessata ad approfondire il settore relativo agli investimenti e alla valutazione degli stessi poiché le aspettative dell’italiano medio erano: acquistare la casa di proprietà, smaltire i soldi guadagnati in nero, acquistare titoli di stato dall’amico che lavorava in banca.
L’investimento in titoli azionari veniva considerato come un’azione da speculatori, e in generale, da persone che amano il rischio.
La situazione al giorno d’oggi è drasticamente cambiata ed è evidente.
I titoli e le obbligazioni di stato sono più rischiosi e rendono meno rispetto al passato, gli immobili hanno subìto importanti svalutazioni: con il passare degli anni, è possibile/probabile che complessivamente abbiano problemi dal punto di vista delle valutazioni in quanto la popolazione è sempre meno abbiente e ci sono meno persone che possono permettersi di comprare immobili e , diminuendo la domanda, il prezzo scende.
È quindi evidente come un investitore del XXI secolo debba:
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