Perché Uber fatica in Italia?

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Se domani mattina decidessi di diventare tassista, penseresti che bastino una patente, un'auto e la voglia di lavorare, giusto? In realtà no. Quello che ti mancherebbe è una licenza…una licenza che può costare dai 100mila ai 300mila euro.

Il business dei taxi

In Italia, infatti, quello dei taxi non è un mercato dove chiunque può decidere di entrare. Per esercitare questa professione devi possedere una licenza comunale, che non ottieni dimostrando competenza, ma comprandola.

Il meccanismo è semplice: ogni comune stabilisce un numero fisso di licenze e quello rimane immutabile per anni, a volte decenni. 

In termini economici potremmo parlare di un “monopolio”: gli operatori dei Taxi si spartiscono il mercato, protetti da barriere legali all'ingresso. La competizione esiste solo tra chi ha già la licenza, mentre tutti gli altri ne sono esclusi per legge.

Questo sistema però, non nasconde problemi.  Roma ha meno di 3 taxi ogni 1.000 abitanti; Milano meno di 4. A Parigi sono 10, a Londra addirittura 12. Il risultato si ripercuote su un servizio troppo spesso inefficiente: a Milano il 38% delle richieste resta senza risposta, a Roma si sale al 44%.

Grafico 1: I taxi in Europa e in Italia

 Grafico 1: I taxi in Europa e in Italia

Fonte: Wired

Se la carenza di offerta è un problema per trovare il taxi, c’è per un altro aspetto fondamentale: il costo della tratta

Una corsa urbana di 5 km costa circa 6 euro a Lisbona ed 8 euro a Madrid, contro i 17 euro di Torino, i 15 di Firenze o i 12 di Milano. I collegamenti aeroportuali rivelano differenze ancora più marcate: a Parigi per 30 km la tariffa è di circa 30-40 euro, Berlino 25, Milano-Malpensa costa 100-110 euro per 50km. 

Quando un servizio non riesce a soddisfare la domanda, inevitabilmente qualcuno trova il modo di colmare quel vuoto. 

Ed è esattamente quello che succede quando, nel 2013, una startup californiana già famosa in tutto il mondo decide di sbarcare in Italia. Questa società era Uber.

Ma chi era davvero questa azienda di cui abbiamo tanto sentito parlare? 

La storia di Uber

Uber nasce nel 2009 a San Francisco dall'intuizione di due imprenditori americani, Garrett Camp e Travis Kalanick, che si pongono una domanda: in una città piena di auto private, perché è così difficile trovare un passaggio quando serve?

La loro soluzione è creare una piattaforma che mette in contatto chi cerca un passaggio con chi può offrirlo. La società non possiede né una singola auto né conducenti dipendenti, si presenta come un puro intermediario digitale.

L'app di Uber geolocalizza l'utente, mostra l'auto in arrivo in tempo reale, presenta tariffe trasparenti e gestisce pagamenti automatici. Un sistema di recensioni reciproche garantisce qualità: chi accumula voti negativi viene escluso.

Per ogni corsa Uber trattiene una commissione - in Italia circa il 25% della tariffa - lasciando il resto all'autista. Quest'ultimo però opera come lavoratore autonomo e deve sostenere personalmente tutti i costi: dall'acquisto dell'auto fino a carburante, manutenzione e assicurazioni.

Mentre i taxi hanno tariffe fisse stabilite dai comuni, Uber utilizza algoritmi che adattano i prezzi in tempo reale alla domanda e all'offerta disponibile. È un sistema che permette di ottimizzare continuamente il servizio: quando la domanda è alta, i prezzi salgono per incentivare più autisti a mettersi al lavoro, quando è bassa, scendono per attrarre più clienti. 

Il modello di business funziona: costi fissi minimi, margini potenzialmente enormi e scalabilità pressoché infinita. 

Nel tempo Uber evolve e diventa un ecosistema completo della mobilità: lancia monopattini e bici per spostarsi velocemente, moto per aggirare il traffico, auto di lusso per chi cerca comfort. L'obiettivo è diventare il punto di riferimento per qualsiasi spostamento

L'azienda non si limita al trasporto persone ma costruisce un ecosistema completo: Uber Eats per la consegna cibo, Uber Freight per il trasporto merci, Uber Health per i trasporti sanitari. Ogni tipo di spostamento diventa un'opportunità di business.

Per imporsi nei differenti mercati globali, Uber adotta una strategia aggressiva: per oltre 15 anni opera in perdita, investendo più di 31 miliardi di dollari.
Queste risorse vengono usate per offrire tariffe molto basse, spesso al di sotto dei costi reali, con l’obiettivo di eliminare la concorrenza, città dopo città.

Solo dopo aver raggiunto una posizione dominante, Uber aumenta gradualmente i prezzi e trasforma la sua quota di mercato in profitti concreti.

Seguendo questa strategia Uber sbarca in Italia. Del resto, tutti i segnali erano favorevoli: domanda insoddisfatta, servizio carente, frustrazioni crescenti tra i consumatori.

Ma i dirigenti californiani stavano per subire una brusca frenata. Il mercato italiano era strutturalmente diverso dagli altri. 

Mentre in molte nazioni il sistema si era sviluppato secondo logiche di mercato più o meno libere, l'Italia aveva costruito nel corso dei decenni un sistema altamente regolamentato.

Il difficile contesto italiano

Perché? Come siamo arrivati a questa situazione? 

Fino al 1992, ogni Comune decideva in autonomia: quante licenze rilasciare, a quali condizioni e con quali tariffe. Era un sistema frammentato, poco trasparente, ma funzionale in un’epoca senza GPS né smartphone. 

Qual era lo scopo delle licenze? Le licenze garantivano sicurezza (i conducenti e i veicoli erano verificati), un servizio universale (con una copertura completa sia a livello geografico che di orari) e controllo delle tariffe.

Con la Legge 21 del 1992 si cercò di uniformare le regole a livello nazionale: le licenze gratuite venivano assegnate per concorso ed erano trasferibili o vendibili.

Ma così facendo, la licenza divenne un bene patrimoniale. Chi la possedeva aveva interesse a mantenerne scarsità per tutelarne il valore.

I Comuni, temendo proteste, smettono di rilasciarne.

Si regolamenta anche il settore degli NCC (Noleggio con Conducente): auto private con autista che operano su prenotazione, diverse dai taxi perché non possono stazionare in strada e devono tornare in autorimessa dopo ogni corsa.

Nel 2006 il Decreto Bersani tentò una riforma: i comuni potevano rilasciare nuove licenze a pagamento, ma l'80% degli incassi del Comune doveva essere distribuito come "indennizzo" ai tassisti già esistenti. In pratica, per aumentare l'offerta di un servizio pubblico bisognava risarcire economicamente chi già lo gestiva. 

Uber: tra presente e futuro

Ariviamo ai giorni nostri. Alcune città italiane come Genova non rilasciano nuove licenze taxi dagli anni '80, Livorno addirittura dal 1977.

Per diventare tassista oggi servono non meno di 100.000 euro. 130.000 a Roma,160.000 euro a Milano, fino a 400.000 euro a Venezia. 

Molti proprietari di licenze non guidano affatto. Preferiscono affittarle per una cifra che può raggiugere i 1.500 al mese, trasformando la licenza in una sorta di rendita passiva.

Ma non si potrebbe semplicemente aumentare le licenze?

In teoria sì. Nella pratica la questione non è così semplice. 

Molti tassisti hanno pagato a caro prezzo loro licenza, che considerano un investimento. Aumentare le licenze ne ridurrebbe il valore e i loro guadagni, quindi ovviamente si oppongono.

In più, la categoria è piccola – circa 28.000 tassisti in tutta Italia - ma molto organizzata e con una notevole influenza politica. Non sono lavoratori autonomi isolati: operano in cooperative e consorzi, con i radiotaxi a fare da centrale operativa. Questo garantisce coesione e forza politica sproporzionata rispetto ai numeri.

Quando Uber arriva in Italia, lo scontro è inevitabile. 

Da un lato, il taxi: un servizio pubblico regolato, con licenze costose. Dall’altro, un modello che vedeva quelle stesse regole come un ostacolo all’innovazione e all’efficienza.

I tassisti denunciarono una concorrenza sleale: chi guidava per Uber offriva lo stesso servizio, ma senza licenza, senza rispettare gli obblighi assicurativi e senza sottostare alle stesse regole fiscali. Uber, dal canto suo, ribaltava la prospettiva: non era il mercato a dover adattarsi alle regole del passato, ma le regole stesse a dover evolvere per rispondere ai bisogni degli utenti.

Le cooperative di tassisti presentano ricorsi sistematici contro i due servizi lanciati da Uber: UberPop (auto private guidate da chiunque) e UberBlack (auto di lusso con conducenti professionali).

Nel 2015 il Tribunale di Milano dichiara UberPop illegale per "concorrenza sleale" e ne dispone il blocco immediato.

UberBlack sopravvive ma finisce sotto accusa. Il servizio utilizza conducenti NCC, che per legge devono rispettare regole diverse dai taxi: dopo ogni corsa devono tornare fisicamente alla propria autorimessa prima di accettarne una nuova. Uber però consente ai suoi autisti di ricevere prenotazioni consecutive rimanendo in strada, facendoli operare di fatto come taxi senza licenza e senza tariffe regolamentate.

Nel 2017 il Tribunale di Roma ordina la chiusura completa di tutti i servizi Uber entro 10 giorni, con multe da 10.000 euro al giorno. Solo un ricorso d'urgenza salva l'azienda.

A questo punto Uber cambia completamente strategia. Nel 2018 lancia UberTaxi a Torino: collaborazione invece di competizione. I tassisti usano l'app mantenendo licenze e tariffe comunali.

Il modello si espande: Napoli e Bologna nel 2020, Firenze nel 2021, Palermo e Catania nel 2022. L'accordo del 2025 con IT Taxi porta 12.000 tassisti nella piattaforma mantenendo tutto - licenze, tariffe, identità professionale.

Non è più disruption ma integrazione: Uber diventa il braccio tecnologico del sistema taxi italiano. Ma il suo modello di business ha una scalabilità limitata. 

Ma globalmente Uber come è andata?

Sedici anni dopo la sua fondazione, Uber è diventata un colosso del settore con una capitalizzazione di 189 miliardi di dollari e ricavi annuali di 44 miliardi.

Nel 2023 per la prima volta Uber ha chiuso l'anno con un profitto operativo di 1,1 miliardi, saliti a 2,8 miliardi nel 2024.

Ma è soprattutto la posizione competitiva a impressionare: Uber risulta leader di mercato nella maggior parte dei territori in cui opera. 

Grafico 2: Diffusione Uber nel mondo

Grafico 2: Diffusione Uber nel mondo

Le 3 divisioni principali continuano a crescere, seppur con dinamiche e prospettive differenti:

  1. Mobilità: rappresenta il 57% dei ricavi totali con 21 miliardi di fatturato e margini dell'8,3%. È il core business originale che continua a macinare crescita solida in tutti i mercati principali.
  2. Delivery: vale il 31% del business con 20,4 miliardi di ricavi e con margini al 3,7%. In sostanza Uber Eats è ormai quasi grande quanto il servizio trasporti ma meno profittevole.
  3. Trasporto merci: rappresenta il 12% restante con 1,3 miliardi di fatturato ma ancora in perdita operativa. È il segmento più giovane che sta ancora cercando la formula per raggiungere la profittabilità.

Questi ottimi risultati sono stati riconosciuti dal mercato con il titolo Uber che dalla sua quotazione nel 2019 a 45$ per azione ha raddoppiato il proprio valore fino agli attuali 90$. Una performance che riflette la crescente fiducia degli investitori.

Grafico 3: Grafico prezzo di mercato Uber

 Grafico 3: Grafico prezzo di mercato Uber

Fonte: Koyfin

Oggi però l'azienda guarda ben oltre i risultati attuali. Mentre in molti paesi si discute ancora di trasporti digitali, Uber sta già investendo centinaia di milioni nella mobilità autonoma, puntando a diventare leader mondiale nei robotaxi prima di Tesla.

L'ambizione è costruire entro il 2030 una flotta di 20.000 veicoli autonomi attraverso partnership strategiche con i migliori player del settore dell'innovazione, creando la più grande rete globale di mobilità senza conducente prima che la tecnologia diventi accessibile a tutti.

Uber perà non è l'unica piattaforma. In tutta Europa stanno emergendo o consolidandosi player come Bolt, Free Now o Cabify, che insieme ad altre realtà locali si stanno ritagliando spazi crescenti nei mercati nazionali.

Conclusioni

Ma quindi Uber sconfiggerà mai i taxi in italia?

Difficile prevedere il futuro. Quello che è certo è che l'Italia non è estranea a questa trasformazione. Anche se procede più lentamente, una parte di utenti, soprattutto tra i più giovani, ha già abbracciato il cambiamento e chiede un’inversione di rotta.

Il concetto di taxi esiste ancora in tutta Europa, ma si è evoluto. I taxi tradizionali con licenza non sono scomparsi ma convivono con alternative digitali. Francia e Germania hanno creato categorie separate per Uber e simili, la Spagna li limita ma li autorizza, l'Estonia li ha integrati completamente. L'Italia rimane l'unico grande paese europeo dove il sistema è completamente blindato.

Una maggiore liberalizzazione ovviamente da sola non basta, dato che non garantisce automaticamente prezzi più bassi né un servizio migliore. È fondamentale che l'apertura del mercato sia accompagnata da regole chiare e garanzie concrete sui diritti di lavoratori e consumatori.

La direzione verso una maggiore apertura sembra tracciata. Restano da definire tempi e modalità.

E noi, come potenziali passeggeri e investitori su Uber, dobbiamo solo monitorare la situazione.

Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.

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Davide Berti, consulente finanziario

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In un mondo basato sulle dinamiche economiche, dove troppo spesso le conoscenze finanziarie sono limitate o assenti, verificare la professionalità di un consulente è necessario quanto difficile. Per questo affianco al mio lavoro questo progetto di consapevolizzazione.

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