Da oggi inizierai ufficialmente a lavorare per lo Stato italiano. Sì, perché in Italia in media il 42,6% del tuo reddito serve per pagare le tasse e dal 30 luglio rimane proprio il 42,6% dei giorni alla fine dell’anno. Quindi, da oggi, ogni euro che produci andrà teoricamente nelle casse pubbliche.
Ma con le tasse che paghi lo Stato che cosa ci fa?
Come si finanzia lo Stato
Prima di vedere dove vengono spesi i soldi dello Stato, è utile capire come fa lo Stato ad incassarli.
Lo Stato ha sostanzialmente due modi per finanziare le sue spese:
- incassare soldi dai cittadini e dalle imprese attraverso tasse e contributi,
- indebitarsi emettendo titoli di Stato (i famosi BOT, BTP e CCT).
Nel 2025 lo Stato prevede di incassare le sue entrate tributarie principalmente attraverso imposte, tasse e tributi (640 mld). A queste si aggiungono entrate extra-tributarie come monopoli, giochi e dazi (88 mld). (Totale: 729 mld).
Le entrate tributarie si dividono in due categorie principali:
- Le imposte dirette, che colpiscono direttamente redditi e patrimoni. La principale è l'IRPEF (243 mld), l'imposta che paghiamo sui nostri stipendi e pensioni.
- Le imposte indirette, che paghiamo quando acquistiamo beni e servizi. La più importante è l'IVA (208 mld), quella che paghiamo ogni volta che compriamo qualcosa.
Poi ci sono l'IRAP (63,6 miliardi), le imposte sui redditi delle società (38,8 miliardi), le accise sui prodotti energetici (31,1 miliardi), le entrate da lotterie e scommesse (22,5 miliardi), le sanzioni tributarie (17,3 miliardi) e infine il registro e bollo (15,7 miliardi).
Purtroppo, però c’è un problema: tutte queste entrate non bastano a coprire le spese totali dello Stato.
La differenza (che è di ben 471 mld) viene colmata attraverso il "ricorso al mercato". Lo Stato emette nuovi titoli di Stato che vengono acquistati da banche, fondi e risparmiatori, promettendo di restituire quei soldi in futuro, con gli interessi.
Una volta che i soldi arrivano nelle casse pubbliche, si pone la questione fondamentale come spartirli.
Formalmente a decidere è il Parlamento, attraverso la Legge di Bilancio.
Ma in realtà il processo è molto più articolato: il Governo prepara la proposta iniziale, i ministeri difendono i loro budget, i partiti si scontrano sui contenuti, i gruppi di interesse fanno pressione, l'Unione Europea pone vincoli sui conti pubblici. È un gioco di compromessi tra molteplici soggetti.
Ma veniamo alla domanda centrale dell’articolo: come vengono spartiti 100€ di spesa pubblica?
Come spende i soldi lo Stato
1. Protezione Sociale
39€ e 30 centesimi vanno alla protezione sociale, rappresentando di gran lunga la voce più importante del bilancio pubblico italiano.
Il cuore di questa spesa sono le pensioni di vecchiaia, che da sole assorbono circa due terzi di questi 39,30 euro. Ma non è tutto. All'interno di questa macro-categoria trovano posto anche le pensioni di reversibilità per i coniugi superstiti, gli assegni di invalidità, la cassa integrazione per chi ha perso temporaneamente il lavoro, e tutti i sussidi per chi non può o non riesce a trovare un'occupazione.
Nel 2014 questa voce assorbiva il 41,5% della spesa pubblica, ha toccato il picco del 44% nel biennio 2019-2020, per scendere al 39,3% attuale.
Questo apparente miglioramento è però illusorio: la spesa in valore assoluto continua a crescere, è solo che nel frattempo è aumentata anche la spesa totale dello Stato.
Il confronto internazionale rivela che l'Italia spende il 15,5% del PIL per le pensioni, contro il 14,7% della Francia, il 13% della Spagna e il 11,6% della Germania.
In proporzione ai nostri mezzi (quindi al PIL) siamo di fatto uno dei paesi più generoso al mondo con i pensionati, una scelta che ha conseguenze profonde su tutti gli altri settori della spesa pubblica e che colloca il nostro welfare state ai vertici delle classifiche europee.
Grafico 1: Spesa per pensioni (2022)
Fonte: Eurostat
Al tempo stesso questo primato si sta però trasformando in un problema per le nuove generazioni a causa dell’insostenibilità di questa spesa. Mentre oggi si va in pensione a circa 65 anni, chi entra ora nel mercato del lavoro si stima dovrà aspettare fino a 71 anni (fonte: OCSE) - tra le età più alte d'Europa. Quello che oggi e negli anni passati è stato un lusso per gli italiani lavoratori, domani non potrà più esserlo.
Chi vuole garantirsi un futuro dignitoso dovrà iniziare a costruirselo in autonomia, anche attraverso una pensione integrativa di cui parlo tanto negli altri video e sul mio blog. Qualora volessi approfondire puoi iniziare da qui: Pensione e previdenza integrativa
2. Servizi Pubblici Generali
13€ e 80 centesimi finanziano tutto l'apparato che fa funzionare lo Stato: Parlamento, ministeri, amministrazioni centrali, ricerca scientifica di base e politica estera.
Il dato che colpisce di più è che di questi: 7€ servono esclusivamente per pagare gli interessi sul debito pubblico. Ogni anno l'Italia paga circa 80 miliardi di euro solo di interessi, senza toccare il debito principale che ormai supera i 3.000 miliardi. Questi soldi non comprano nulla, non costruiscono niente, non curano nessuno. Spariscono per pagare i debiti accumulati.
Questa voce di spesa è direttamente impattata da due variabili: l'ammontare del debito accumulato e i tassi di interesse che i mercati ci chiedono. Quando i tassi salgono, automaticamente sale anche quello che dobbiamo pagare. Nel 2024 il tasso medio pagato è stato circa del 3%, in crescita rispetto al 2,8% del 2023 ma comunque contenuto se confrontato con altri periodi storici.
Negli anni '90 gli interessi arrivavano al 30% di tutta la spesa pubblica. Oggi sono scesi al 13,8% non perché il debito sia diminuito - anzi è triplicato - ma grazie al crollo dei tassi di interesse.
Grafico 2: Evoluzione debito pubblico italiano (2016 – 2025)
Fonte: tradingeconomics
3. Sanità: 12,1€
12€ e 10 centesimi vanno al sistema sanitario.
Il dato più basso degli ultimi 20 anni. Nel 2014 era al 13,9%, ora è sceso al 12,1%.
Si tratta di una spesa da 130,3 miliardi di euro, pari al 6,7% del Pil. Una cifra che si traduce a circa 2.200 euro annui per abitante, inferiore del 30% rispetto alla media europea.
Ben lontani da paesi come Irlanda (22%), Islanda (18%) o Danimarca (17.6%), paesi che destinano molto di più al loro sistema sanitario.
Nonostante questo sottofinanziamento cronico, l'Italia riesce ancora a garantire degli standard apprezzabili: un'aspettativa di vita tra le più alte d'Europa, cure universali gratuite per tutti i cittadini, e livelli di eccellenza riconosciuti in molte specializzazioni mediche. Tuttavia, i segnali di stress del sistema sono sempre più evidenti e la conseguenza di ciò è che gli italiani ricorrono sempre più al privato.
Nel 2023 hanno dovuto sostenere di tasca propria oltre 40,6 miliardi di euro (fonte: Gimbe) per prestazioni sanitarie private, con una spesa media per nucleo familiare di circa 1.480 euro annui.
4. Affari Economici: 10,8€
10€ e 80 centesimi per far funzionare l'economia del paese.
Questa categoria comprende principalmente i trasporti - treni, manutenzione di autostrade, infrastrutture e aeroporti. Ci sono poi i sostegni all'agricoltura, gli incentivi industriali per mantenere competitive le nostre aziende e misure temporanee come i vari bonus.
Il confronto europeo colloca l'Italia nella parte medio-bassa della classifica contro una media UE dell'11,8%. Tuttavia, bisogna anche evidenziare che questa media è fortemente influenzata dai Paesi che stanno vivendo un periodo di convergenza economica: Ungheria (18,6%), Croazia (16,7%) e Romania (16,1%) che destinano quote molto più elevate per recuperare il gap infrastrutturale con l'Europa occidentale.
5. Abitazioni e Assetto del Territorio: 8,1€
8€ e 10 centesimi per quella che è stata una delle voci più cresciute nel bilancio pubblico negli ultimi anni. Nel 2014 questa voce rappresentava lo 0,9% - meno di un euro su cento. Oggi siamo all'8,1% - nove volte di più in dieci anni.
L'Italia detiene il primato europeo per distacco, considerando che la media UE si ferma al 2,4%. La causa? L'esplosione dei bonus edilizi: superbonus 110%, bonus ristrutturazioni, ecobonus, sisma bonus.
Negli anni a venire vedremo questa voce quasi sicuramente ridimensionarsi, tornando verso livelli più in linea con gli standard europei.
Superata la spesa dei superbonus veniamo alla sesta voce del nostro budget: l’istruzione.
6. Istruzione: 7,3€
Solo 7€ e 30 centesimi per l'istruzione - il minimo storico assoluto. Nel 2014 eravamo all'8,1%, ora al 7,3.
Il confronto europeo ci colloca agli ultimi posti in Europa, dietro a Grecia (8%) e Romania (8,2%). La media UE è del 9,6%: paesi come Islanda (14,8%) ed Estonia (14,5%) investono più del doppio rispetto a noi.
Una curiosità è che siamo l'unico paese dell'Unione Europea dove la spesa per gli interessi sul debito (4,4% del PIL) supera quella per l'istruzione (4,1% del PIL).
La tradizione pedagogica italiana riesce ancora in parte a compensare questa scarsità di risorse. Ma questo equilibrio precario non può durare per sempre: strutture inadeguate e investimenti insufficienti sono segnali crescenti che il sistema dovrà inevitabilmente fare i conti con questa carenza cronica di risorse, e ancora una volta a rimetterci è una categoria ben precisa della popolazione: i giovanissimi.
Le voci che seguono sono più piccole in termini assoluti, ma non per questo meno significative nel raccontare le priorità e le sfide del paese.
7. Ordine Pubblico e Sicurezza: 3,2€
3€ e 20 centesimi sono per l’ordine pubblico: Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, tribunali e carceri. La tendenza di questa voce è leggermente al ribasso: dal 3,7% del 2014 al 3,2% attuale.
Il confronto europeo mostra che l'Italia è sostanzialmente allineata alla media UE del 3,5%. In linea con Francia (3%) e Germania (3,3%), inferiore ad alcuni paesi dell'Est Europa come Bulgaria (4,8%) e Ungheria (4,2%), che destinano quote più elevate, spesso per necessità legate alla gestione dei confini esterni dell'Unione o a contesti di sicurezza più complessi.
8. Difesa: 2,2€
2€ e 20 centesimi per Esercito, Marina, Aeronautica e missioni internazionali.
Leggermente sotto la media UE del 2,7%, ma allineati a paesi come Spagna (2,2%) e Germania (2,3%). Questa è una delle voci più controverse.
Per anni l'Italia è rimasta strutturalmente sotto i requisiti NATO, destinando questa voce principalmente a spese correnti: stipendi dei militari e mantenimento delle strutture esistenti.
Il contesto geopolitico attuale ha però cambiato radicalmente le aspettative. L'Unione Europea ha concesso maggiore flessibilità fiscale (fino all'1,5% del PIL per investimenti nella difesa) e punta ad un allineamento con gli obiettivi NATO per i prossimi anni ovvero al 5% del PIL entro il 2035.
È un tema che divide l'opinione pubblica ma che sta già movimentando i mercati finanziari, con i titoli della difesa che inevitabilmente sono in forte crescita: Leonardo BAE Systems, Rheinmetall etc.
9. Protezione dell'Ambiente: 1,7€
1€ e 70 centesimi per l'ambiente e per fronteggiare l’emergenza climatica. Dal 2014 siamo praticamente fermi: dal 1,8% al 1,7% attuale.
Questa voce include gestione rifiuti, depurazione acque, controllo inquinamento e parchi nazionali.
Il confronto europeo mostra che l'Italia è allineata alla media UE dell'1,7%. Paesi come Olanda (2,8%) e Austria (2,1%) investono di più, mentre Germania (1,5%) e Francia (1,6%) sono leggermente sotto di noi.
Negli ultimi anni ci sono stati significativi investimenti per la transizione energetica, spesso finanziati attraverso fondi europei, ma per il futuro è previsto un ridimensionamento di questi progetti straordinari.
10. Cultura, Sport e Tempo Libero: 1,5€
1€ e 50 centesimi per cultura e sport, una delle voci più piccole del bilancio,
Dentro questa cifra c'è tutto quello che dovrebbe rendere la vita degna di essere vissuta pienamente: musei, biblioteche, teatri, impianti sportivi o il servizio pubblico radiotelevisivo.
L'Italia, con il suo 1,5%, è penultima in Europa - solo Cipro fa peggio - nonostante possegga il patrimonio artistico più ricco del mondo. Germania (2,1%) e Francia (2,3%) investono il doppio di noi.
Una cifra che fa riflettere, visto che la cultura rappresenta anche un motore economico importante.
L'Italia, con i suoi 61 siti UNESCO – la Nazione con il numero più elevato - attira milioni di turisti che generano miliardi di euro e posti di lavoro.
I problemi strutturali dell’Italia
Come abbiamo visto molte voci appaiono sotto finanziate, perché?
Il nostro paese è schiacciato da due macigni: da un lato la spesa previdenziale, dall'altro il peso degli interessi sul debito pubblico.
Queste due voci consumano insieme oltre la metà di ogni euro che entra nelle casse dello Stato. Non è un caso che l'Italia spenda sistematicamente meno della media europea per istruzione, ricerca, cultura e ambiente: è una conseguenza delle scelte del passato e dei fattori che ci hanno portato a questa situazione.
Ma i numeri che abbiamo visto raccontano solo una parte della storia. La realtà della gestione delle risorse pubbliche presenta complessità e sfide che vanno ben oltre la semplice lettura delle voci di spesa.
Un esempio? Non tutti i soldi che dovrebbero arrivare nelle casse dello Stato ci arrivano davvero. Il motivo è l’evasione fiscale.
Secondo l'ISTAT, circa 2,5 milioni di lavoratori - il 9,7% del totale - sono completamente irregolari e non contribuiscono al gettito fiscale. Ma il fenomeno è molto più ampio: c'è chi dichiara meno di quello che guadagna realmente, chi lavora completamente in nero, chi evade l'IVA. Il risultato è che chi paga regolarmente le tasse deve sostenere anche la quota di chi non le paga.
Se volessimo fare un parallelismo, così come ogni famiglia deve bilanciare il proprio budget tra necessità immediate e investimenti futuri, lo Stato deve bilanciare le esigenze immediate (la sanità, la sicurezza, le pensioni) con gli investimenti a lungo termine (istruzione, ricerca, ambiente).
La differenza principale sta nella scala e nei tempi: mentre un privato può decidere generalmente con meno vincoli di spostare fondi da un investimento all'altro, lo Stato deve navigare tra vincoli costituzionali, equilibri politici e aspettative sociali che rendono ogni cambiamento un processo graduale. Ma il principio rimane identico: non si può avere tutto, bisogna scegliere le priorità.
Conclusioni
Questi numeri portano a due riflessioni fondamentali per ogni risparmiatore italiano.
- Primo: di fronte a un sistema pensionistico sempre più sotto pressione e con un'età pensionabile che continua a salire, la previdenza complementare non è più un optional ma una necessità per garantirsi un futuro sereno. È uno degli obiettivi principali degli investimenti portati avanti con i miei clienti. Scopri di più qui: Previdenza Complementare
- Secondo: concentrare tutti i propri risparmi, come molti fanno, in titoli di Stato di un paese con questi livelli di indebitamento e questa struttura di spesa sbilanciata verso il passato richiede una riflessione attenta. Pensi davvero che il nostro Paese sia il miglior soggetto su cui fare un investimento. Credo che la risposta venga da sé. Ad ogni modo, qualora volessi approfondire ecco due articoli da dove iniziare: Home bias acerrimo nemico della diversificazione e I danni dell'home bias.
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