Oggi Google compie 26 anni. Un quarto di secolo in cui ha dominato la ricerca online, rivoluzionato la pubblicità digitale e controllato l'esperienza internet di miliardi di persone.
Oggi Google compie 26 anni. Un quarto di secolo in cui ha dominato la ricerca online, rivoluzionato la pubblicità digitale e controllato l'esperienza internet di miliardi di persone. Ma per la prima volta nella sua storia, il gigante di Mountain View si trova sotto una minaccia che potrebbe cambiare tutto: l'intelligenza artificiale. Quale sarà l’esito di questo nuovo duello?
La storia di Google
4 settembre 1998. In un garage di Menlo Park, California, Larry Page e Sergey Brin con 100.000 dollari fondano Google Inc. Il nome nasce da un errore di battitura di "googol" - il numero 1 seguito da 100 zeri. Oggi quell'errore vale oltre 2.000 miliardi di dollari.
Ma per capire come ci sono arrivati, dobbiamo tornare indietro di due anni, al 1996, quando Internet era ancora un Far West popolato da siti amatoriali dove trovare effettivamente quello che cercavi era abbastanza complicato. I motori di ricerca dell'epoca usavano un approccio primitivo: contavano quante volte una parola chiave appariva.
Larry Page, dottorando a Stanford, ebbe un'illuminazione: invece di guardare solo il contenuto, perché non analizzare chi linkava una pagina? Se Harvard avesse linkato il tuo sito, sarebbe valso molto più di un blog casuale. Era il principio delle citazioni accademiche applicato al web.
Page chiamò l'idea "PageRank" - un gioco di parole con il suo cognome.
Sergey Brin, suo compagno di stanza al dormitorio, si innamorò del progetto. Brin era un immigrato russo ed un brillante matematico con una passione per il data mining, aveva le competenze perfette per trasformare l'intuizione di Page in qualcosa di concreto.
Insieme iniziarono a costruire quello che chiamarono "BackRub" - un nome che descriveva perfettamente cosa faceva: analizzava i "backlink", i collegamenti che puntavano verso una pagina.
Nel marzo 1996 iniziarono a indicizzare il web dal dormitorio di Page, usando server improvvisati fatti con mattoncini Lego perché non avevano soldi per comprare un hardware vero.
I risultati erano incredibilmente più accurati della concorrenza. Il passaparola si diffuse da Stanford alla Silicon Valley. Ma trasformare un progetto universitario in business richiedeva qualcosa che loro non avevano: soldi.
Il primo a credere nel progetto fu Andy Bechtolsheim, co-fondatore di Sun Microsystems: otto minuti di demo bastarono per un assegno da 100.000 dollari per "Google Inc." - azienda che non esisteva ancora e che dovettero registrare di corsa per incassare. Era il 4 settembre 1998 e nasceva Google.
La loro prima sede? Un garage in affitto a Menlo Park.
La nomea di questa nuova startup cominciò a circolare nella Silicon Valley e, uno dopo l’altro, arrivarono i primi investitori. Tra questi anche Jeff Bezos, allora pioniere dell’e-commerce, che credette nel progetto ed investì 250.000 dollari.
Grazie a questi capitali i fondatori poterono fare il salto di qualità: abbandonarono il garage dove tutto era iniziato e si trasferirono in un vero ufficio a Palo Alto, nel cuore pulsante dell’innovazione tecnologica.
I primi anni furono una corsa folle contro il tempo e la tecnologia. La domanda esplodeva e i server facevano fatica a reggere il carico, ma era un problema di lusso - troppo successo, troppo in fretta.
Il vero grattacapo era un altro: come fare soldi? Google funzionava perfettamente ma non generava un centesimo. Come molti founder dell'epoca, Page e Brin credevano nella filosofia "prima cresci, poi monetizzi" - una strategia che aveva mandato però al macello decine di startup durante il boom delle dot-com.
La pressione aumentò nel giugno 1999 quando arrivò un round di finanziamento da 25 milioni guidato da Kleiner Perkins e Sequoia Capital - due dei fondi più prestigiosi e spietati della Silicon Valley. Con quei soldi arrivarono anche aspettative concrete di trovare un modello di business che funzionasse.
La vera svolta arrivò nell'ottobre 2000 con l'invenzione di AdWords. Invece di riempire le pagine con banner invasivi come facevano i portali dell'epoca, Google ebbe un'intuizione elegante: piccoli annunci testuali discreti accanto ai risultati di ricerca.
Ma il vero colpo stava nel modello economico: pay-per-click. Gli inserzionisti pagavano solo quando qualcuno cliccava effettivamente sul loro annuncio, non per semplici visualizzazioni. Era un win-win: gli utenti vedevano pubblicità pertinenti invece di spam casuale, le aziende pagavano solo per risultati concreti, e Google monetizzava senza compromettere l'esperienza di ricerca che aveva costruito la sua reputazione.
I numeri che seguirono fecero letteralmente storia: 19 milioni di fatturato nel 2000, che schizzarono a 1,4 miliardi nel 2003.
Nell’Aprile 2004 arriva Gmail con 1 Gigabyte di spazio gratuito, i competitor Hotmail e Yahoo offrivano 2-4 Megabyte. 250 volte l’offerta dei competitor. Il costo dello storage diminuisce esponenzialmente nel tempo, il valore dei dati degli utenti aumenta.
Nel 2004 arriva la quotazione a Wall Street al prezzo di 85 dollari per azione.
Page e Brin però non vogliono perdere il controllo: creano due classi di azioni con poteri diversi. Le azioni di Classe B che tengono per sé garantiscono dieci voti ciascuna, mentre le azioni di Classe A vendute al pubblico ne hanno solo uno. Possono così raccogliere fondi mantenendo il controllo decisionale: ogni loro azione vale dieci volte quella di un investitore normale.
Con i miliardi raccolti dall'IPO, Google accelera l'espansione. Nel 2005 lancia il servizio Google Maps completamente gratuito. Nel 2006 acquista YouTube per 1,65 miliardi. Una startup di appena 18 mesi gestita da tre ex dipendenti PayPal.
Ma le mosse più brillanti arrivarono con la rivoluzione mobile. Nell'agosto 2005 Google acquista Android per appena 50 milioni rendendolo completamente gratuito per tutti i produttori di smartphone del mondo.
Nel settembre 2008 Google lancia Chrome. Page e Brin avevano intuito che il futuro era sul web, non sui software desktop.
Con Android preinstallato su miliardi di telefoni e Chrome dominante sui computer, Google controlla quasi totalmente l'esperienza digitale quotidiana. Ogni ricerca, ogni clic, ogni movimento online alimentava la sua macchina pubblicitaria sempre più sofisticata e redditizia. La logica era chiara: non era tanto il singolo prodotto che doveva portare soldi ma il focus era conquistare quote di mercato per dominare l’intero ecosistema del web.
I decenni successivi consolidarono questo dominio. Google continuò ad acquisire startup promettenti: Waze nel 2013, Nest e DeepMind nel 2014.
Nel 2015 arriva la riorganizzazione aziendale: nasce Alphabet Inc., con Google come sussidiaria principale. Bisognava separare il core business dagli investimenti più rischiosi come auto a guida autonoma e biotecnologie.
E cosa cambia a livello di governance? Nulla. I due fondatori rimangono saldamente al controllo, parallelamente però sono entrati big player con nuove risorse.
Vent'anni dopo l'IPO, la struttura a doppio voto funziona ancora perfettamente. Larry Page e Sergey Brin possiedono l'87% delle azioni Classe B, garantendosi il 52% del potere decisionale complessivo nonostante rappresentino solo una frazione minoritaria del capitale totale.
Tra gli investitori, i pionieri della prima ora – come Jeff Bezos – non compaiono più tra i principali azionisti. Al loro posto oggi troviamo i grandi colossi della finanza globale: Vanguard (8,5%) e BlackRock (7,1%). Questi controllano, attraverso le azioni di classe A quotate in borsa, centinaia di miliardi di dollari di valore. Il loro peso, tuttavia, resta soprattutto finanziario: l’influenza sulle decisioni strategiche di Google è infatti limitata.
Fonte: SEC filling
Nel tempo i ricavi schizzano dai 75 miliardi del 2015 ai 300 miliardi del 2023. Una crescita media del 15-20% annuo.
Wall Street premia questa crescita inarrestabile: il titolo sale dai 50-60 dollari del 2015, passando dagli 87 dollari pre-pandemia del marzo 2020, fino agli oltre 200 dollari attuali.
Questa crescita inarrestabile ha reso Google una delle aziende più potenti e influenti al mondo. Talmente grande da attirare l’attenzione delle autorità antitrust: se in Europa si è parlato soprattutto di multe e sanzioni, negli Stati Uniti il dibattito è andato oltre, arrivando perfino a ipotizzare lo smembramento del gruppo, con la separazione di attività chiave come Chrome, Android o la rete pubblicitaria.
Ma proprio quando tutto sembra procedere perfettamente, alla fine del 2022 arriva un competitor che nessuno si aspettava...
L’arrivo di un nuovo competitor
Per la prima volta in 25 anni, Google incontra un vero antagonista: non un motore di ricerca migliore, ma qualcosa di rivoluzionario. Invece di digitare parole chiave, gli utenti possono fare domande e ottenere risposte dirette. È arrivata ChatGPT.
Un chat bot basato su intelligenza artificiale che risponde a quello che l’utente cerca, ma con una grande differenza: non serve più navigare tra le pagine, basta chattare.
A questa punto cosa fa Google?
La società capisce subito la minaccia e reagisce con urgenza.
Nel marzo 2023 lancia Bard (diventato Gemini), ma è un mezzo disastro: durante la demo pubblica sbaglia informazioni sui telescopi spaziali James Webb e perde 100 miliardi di capitalizzazione in una sola seduta. Nel frattempo, Microsoft integra ChatGPT in Bing.
Google non era tecnologicamente impreparata. Il problema era strategico. Doveva lanciare una controffensiva per non rischiare di perdere ulteriore terreno.
La reazione è su più fronti. Nel 2024 Google investe oltre 50 miliardi in AI, integra Gemini e lancia la sua vera contromossa: gli "AI Overviews". Invece di costringere gli utenti ad abbandonare Google per ottenere risposte conversazionali, porta l'AI direttamente nei risultati di ricerca.
Ma il dilemma rimane: se le persone ottengono risposte non cliccano sui link e il mercato pubblicitario rischia di crollare.
Cerchiamo di capire meglio perché gli investitori sono così preoccupati…
Google genera il 57% dei ricavi grazie a Google Search. Una fetta di business davvero molto importante…
Fonte: Quartr
I soldi che si incassano tramite il canale della pubblicità vengono provengono principalmente da due fonti:
- Da una parte il CPC (Cost Per Click), dove Google incassa una commissione ogni volta che qualcuno clicca su un annuncio pubblicitario ospitato su una pagina.
- Dall'altra il CPM (Cost Per Mille), dove Google viene pagata semplicemente per mostrare gli annunci, indipendentemente se gli utenti ci cliccano sopra o meno.
Cosa succede allora?
Secondo uno studio di BrightEdge, società specializzata che ha monitorato l'impatto degli AI Overviews per un anno intero, dopo l’ascesa di Chat Gpt le ricerche totali sono aumentate, circa del 50% - più persone cercano più spesso su Google.
Contemporaneamente però il tasso di click è calato del 30% - gli utenti leggono la risposta AI e si fermano lì, senza cliccare sui link sottostanti.
Dal punto di vista economico ciò significa che le persone cercano di più, quindi ci sono maggiori opportunità di mostrare annunci, ma al tempo stesso si hanno meno click sui risultati tradizionali dove sono posizionati molti degli annunci più redditizi.
E come fa Google a monetizzare se le persone non aprono le pagine con gli annunci.
Dal momento che l’aumento di ricerche e il calo dei click hanno un peso simile, a bilancio abbiamo una sorta di compensazione.
Ma questo basta? A due anni di distanza che impatto sta avendo l’AI sui conti di Google?
Come va Google oggi
Nell’ultima trimestrale, Alphabet, a sorpresa, ha effettivamente superato le aspettative. I ricavi totali sono cresciuti del 14% (contro l'11% atteso) e gli utili per azioni sono balzati del 22% (vs il +15% previsto). Google Search ha avuto una crescita del 12% anno su anno. Non male per una società che si stimava essere in difficoltà…
Quindi no, apparentemente l’AI non sta uccidendo Google, anzi. Ma i prossimi trimestri saranno decisivi per capire se si tratta di un fenomeno temporaneo o dell'inizio di un nuovo equilibrio economico.
I segnali che il mercato sta evolvendo ci sono: per la prima volta in dieci anni, la quota di mercato di Google è scesa sotto il 90% e sempre più utenti chiedono alle AI quello che prima cercavano su Google.
Non tutto però tutto è così scontato… per ora ChatGPT, così come gli altri player dell’AI, offrono un'esperienza 'pura', senza pubblicità e ad un costo contenuto per chi si abbona. Quando e se decideranno di monetizzare per sostenere i costi enormi dell'AI, riusciranno a rimanere più appetibile di Google?
Difficile da prevedere ora.
L’incertezza di tale situazione si riflette sul prezzo delle azioni di Alphabet che incorpora multipli di valutazione più compressi rispetto alle altre big tech.
Google ha tutti gli strumenti per reagire. Ma non deve sottovalutare i rischi.
Al di là della sfida tecnologica, cosa possiamo imparare da questa storia?
La prima lezione riguarda il rischio specifico. Quando un'azienda da 2,5 trilioni di dollari può perdere 100 miliardi di capitalizzazione in una sola seduta per un errore in una demo, significa che nemmeno i colossi sono immuni al pericolo. È esattamente il motivo per cui la diversificazione dei portafogli resta il principio cardine dell'investimento responsabile. Non importa quanto solida appaia una posizione: concentrare tutto su singoli titoli, anche i più dominanti, espone a rischi evitabili.
La seconda lezione è più sottile ma altrettanto importante: le nostre esperienze personali non sono indicatori affidabili per le decisioni finanziarie.
Se hai iniziato ad usare più frequentemente ChatGPT che Google, questo non significa automaticamente che dovrai vendere le tue azioni Alphabet. I mercati finanziari operano su scale e logiche molto diverse dalle nostre abitudini quotidiane e le nostre abitudini non sono sempre rappresentative di quelle globali.
Una tecnologia può sembrare rivoluzionaria nell'uso personale ma impiegare anni prima di impattare significativamente sui ricavi aziendali.
Quello che serve sono analisi rigorose. Le decisioni finanziarie si dovrebbero basare su dati concreti, non su impressioni d'uso.
E tu? Pensi che Google riuscirà a reinventarsi abbastanza velocemente da mantenere il dominio nella ricerca? O credi che l'era dei motori di ricerca tradizionali stia davvero finendo?
Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.
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