Quali conseguenze ci sarebbero se l’Italia tornasse alla lira?

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Il passaggio dalla lira all’euro, le conseguenze che ha avuto, le conseguenze che si sarebbero potute evitare e il passaggio epocale che ha segnato per gli italiani sono stati temi al centro di moltissimi dibattiti negli anni passati. Con lo scoppio della pandemia, l’inizio del conflitto in Ucraina, l’inflazione in crescita del 2022 e l’aumento del costo del denaro nelle principali economie occidentali, il dibattito euro-lira è passato in secondo piano.

Lo scopo di questo approfondimento è trattare, da un punto di vista di politica monetaria, le conseguenze che potrebbe avere per l’Italia un ritorno alla lira, evidenziando i potenziali vantaggi e le grandi problematiche che potrebbero esserci.

Andiamo con ordine. L’euro fu introdotto per la prima volta nel 1999 e fece la sua prima apparizione negli Stati dell’Unione Europea nel 2002. In Italia l’euro subentrò alla lira: con 1936 lire si acquistava un euro e il passaggio ad una nuova valuta comune agli stati dell’Unione rappresentò una svolta epocale, implicando un cambio di regime di politica monetaria e di abitudini non indifferente.

I vantaggi tangibili del passaggio alla moneta unica sono stati (e sono) tangibili, su tutti la creazione di un mercato unico dove gli scambi avvengono con la medesima valuta, la maggior visibilità e competitività dell’industria italiana all’estero e la possibilità per imprese e cittadini italiani di intrattenere con facilità relazioni commerciali con l’estero. Tra gli svantaggi potenziali rientra invece la perdita della sovranità monetaria della Banca d’Italia, potere trasferito alla Banca Centrale Europea. 

Il tema vantaggi e svantaggi del passaggio da lira ad euro meriterebbe una serie di contenuti ad hoc e non è questa la sede in cui andremo a trattarli. Scopo di questo approfondimento è quello di capire quali implicazioni ci sarebbero qualora l’Italia decidesse di fare marcia indietro tornando alla lira.

L’uscita dall’euro: come avverrebbe a livello operativo?

L’uscita dell’Italia dall’euro prevederebbe l’interruzione ad una certa data delle transazioni in euro nel Paese, con l’introduzione di una nuova valuta, la lira appunto, coniata dalla Banca d’Italia e dal Tesoro. La Banca d’Italia, in sede di emissione della nuova valuta, dovrebbe decidere il tasso di cambio tra l’euro e lira con la conseguente traduzione dei prezzi esistenti nella nuova valuta. 

Con il cambio di regime valutario, la lira circolerebbe in maniera indipendente dall’euro, con il valore della nuova moneta che verrebbe determinato dalla Banca d’Italia e dalle operazioni di indebitamento del governo italiano.

Se a livello operativo il passaggio sembra lineare (sono stati omessi tutti i tecnicismi), il vero grande problema si avrebbe per il debito pubblico. L’Italia ha un indebitamento, denominato in euro, che sfiora i 3000 miliardi di euro, debito sul quale paga interessi ai creditori in euro: se hai acquistato un BTP lo hai acquistato in euro e le cedole che incassi sono anch’esse denominate in euro. 

L’Italia si troverebbe a questo punto di fronte ad un grande problema: cosa fare del debito pubblico? Rimborsarlo in euro (con i rispettivi interessi) oppure convertire il debito in lire e rimborsarlo con la nuova valuta ai creditori? 

L’opzione di mantenerlo in euro è quella che manterrebbe la credibilità dell’Italia agli occhi degli investitori internazionali e domestici. Immaginate ad esempio di aver sottoscritto delle obbligazioni tedesche in euro e, di punto in bianco, la Germania, cambiando valuta, anziché pagarvi gli interessi e il capitale a scadenza in euro vi restituisce i vostri soldi in marchi tedeschi. Di certo non andreste a prestare ulteriori capitali alla Germania in futuro visto come agito in passato, variabile che riduce i potenziali finanziatori per la Germania. 

Il primo problema di conversione del debito pubblico da euro a lira troverebbe quindi un grande ostacolo in termini di credibilità nei confronti dei creditori, ponendo limiti stringenti all’Italia per quanto concerne la conversione valutaria dell’intero stock di debito cumulato e dei relativi interessi.

Come verrebbe visto il ritorno alla lira dai mercati finanziari internazionali?

Compreso come avverrebbe la transizione da euro a lira a livello operativo e compreso come tutto il debito esistente (poco meno di 3.000 miliardi di euro circa) risulterebbe emesso in valuta estera – l’euro - dal momento che la lira sarebbe la nuova valuta domestica, un punto fondamentale è capire come verrebbe accolta dai mercati la transizione dall’euro alla lira. 

Dal momento che un ritorno alla lira avverrebbe in primis per riappropriarsi della sovranità monetaria, ceduta alla BCE, molto probabile sarebbe l’avvio di una spirale molto pericolosa per il Paese: un governo decide di tornare alla sovranità monetaria solamente nel momento in cui le risorse raccolte con il prelievo fiscale e con la crescita economica non bastassero a ripagare i debiti in essere.

Il cambio di valuta posto in essere per riappropriarsi della sovranità monetaria e ripagare più agevolmente i debiti, svalutando la valuta domestica, provocherebbe inevitabilmente una perdita di credibilità agli occhi dei mercati internazionali. La conseguenza sarebbe un premio al rischio più elevato richiesto dagli investitori per prestare capitali all’Italia. Il premio al rischio verrebbe accentuato in parte anche dall’attesa di una svalutazione monetaria crescente derivante dall’aumento dell’offerta di moneta che ci sarebbe qualora il Governo decidesse di stimolare l’economia domestica. 

Aumentando l’offerta di moneta si svaluterebbe la lira. Svalutando la propria valuta uno stato rende più competitive le proprie merci, i propri beni e i propri servizi, alimentando la crescita economica e, allo stesso tempo, la crescita dell’inflazione. L’aumento dell’inflazione porta all’erosione del potere d’acquisto della moneta, impoverendo i cittadini.

L’uscita dall’euro, viste le condizioni di crescita e debito pubblico del Paese, avrebbe potenzialmente conseguenze dannosissime, su tutte la potenziale spirale inflazionistica simil-Argentina che si verrebbe a creare e il rischio di non avere più creditori disposti a prestare denaro, elementi che avrebbero conseguenze non banali.

Ha senso pensare ad un ritorno alla lira?

A livello di politica monetaria e fiscale, considerando l’indebitamento pubblico del Paese, la crescita economica stagnante negli anni prima della pandemia e i numerosi problemi interni, un ritorno alla lira potrebbe produrre effetti negativi per il Paese. 

Il cambiamento dello status quo in direzione di un ritorno alla sovranità monetaria potrebbe quindi avere, viste le condizioni attuali del Paese, un effetto drammatico per famiglie ed imprese.

Tralasciando la nostalgia e lo scontento di molti che hanno subito il passaggio da lira ad euro, un’evidenza importante è quella che la partecipazione ad un mercato unico ha permesso all’Italia di mantenere credibilità a livello internazionale, mantenendo lo status di uno dei Paesi leader nel mondo.

In un mercato globalizzato dove l’ interconnessione con gli stati esteri è fondamentale per un mercato dei capitali e delle merci sviluppato, un ritorno alla lira potrebbe quindi, alle condizioni attuali, essere davvero negativo per il Paese. 

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Davide Berti, consulente finanziario

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In un mondo basato sulle dinamiche economiche, dove troppo spesso le conoscenze finanziarie sono limitate o assenti, verificare la professionalità di un consulente è necessario quanto difficile. Per questo affianco al mio lavoro questo progetto di consapevolizzazione.

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