Cos’è il carry trade e perché se n’è parlato molto nel 2024?

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Nel corso degli ultimi anni, con l’aumento del livello generale dei tassi di interesse messo in atto dalla Federal Reserve e dalla Banca Centrale Europea, si è spesso sentito menzionare il concetto di carry trade. 

In questo approfondimento andremo a vedere cos’è e come funziona il carry trade, analizzando quando potrebbe funzionare e quando invece non funziona o non ha funzionato nella storia, evidenziando i rischi a cui l’investitore retail potrebbe esporsi nell’attuazione di tale strategia.

Cos’è il carry trade? 

Con tale espressione si fa riferimento alla strategia che prevede di prendere in prestito capitali in una valuta al fine di investirli in strumenti finanziari denominati in altre valute, strumenti con un rendimento atteso superiore al costo di finanziamento. In tale operazione il profitto è generato dalla differenza di rendimento derivante dall’investimento e il costo del finanziamento

Da un punto di vista di gergo finanziario, l’espressione “the carry of an asset” in inglese significa il rendimento ottenuto dalla detenzione dello stesso e quindi con l’espressione carry trade si va ad indicare il profitto che l’investitore ottiene prendendo in prestito una valuta e investendola in asset denominati in altre valute. 

Facciamo un semplice esempio al fine di capire il funzionamento del carry trade per poi capire le componenti principali dell’operazione ed i rischi a cui si espone l’investitore. 

L’investitore del nostro esempio decide di prendere in prestito denaro in yen giapponesi ad un tasso molto basso, ipotizziamo pari allo 0.5% (questo per via dei tassi di interesse molto bassi decisi dalla Bank of Japan); lo stesso investitore decide poi di convertire gli yen presi in prestito in dollari statunitensi al fine di acquistare Treasury americani ad 1 mese il cui rendimento è pari al 5%. Ipotizzando una stabilità del tasso di cambio tra dollaro statunitense e yen giapponese nel mese di detenzione dell’asset e ignorando l’impatto delle commissioni di transazione o degli spread applicati dal proprio intermediario sul cambio valuta, il rendimento annuo dell’operazione sarebbe pari al 4,5%, differenza tra il rendimento del Treasury ed il costo annuo del prestito in yen giapponesi. 

Tassi di cambio e tassi di interesse: le basi del carry trade

L’esempio semplificato proposto ha spiegato come funziona la logica del carry trade, senza considerare le componenti principali della strategia: le variazioni dei tassi di interesse e le variazioni del tasso di cambio, componenti che approfondiremo nel prosieguo dell’approfondimento.

Iniziamo con l’analisi della variazione dei tassi di interesse. Come spiegato nell’esempio, il differenziale tra tasso di interesse della valuta in cui si prende a prestito denaro e il tasso di interesse della valuta in cui si effettua l’investimento è elemento fondamentale che ci permette di ottenere un profitto pari al differenziale tra i due tassi (nell’esempio il 4,5% annuo). Se non ci fosse tale differenziale tra i due tassi di interesse non si potrebbe effettuare alcun carry trade.

Il secondo elemento alla base della strategia è rappresentato dalle variazioni del tasso di cambio. Nell’esempio abbiamo ipotizzato un tasso di cambio stabile ma nella realtà non è così. Il grafico 1 mostra l’andamento del tasso di cambio tra dollaro statunitense e yen giapponese evidenziando come dal 2010 a maggio 2024 il tasso di cambio sia oscillato molto, passando dall’essere sotto gli 80 nel 2012 ai 160 del 2024.

Grafico 1 – Andamento del tasso di cambio USD/JPY, 2010 - 2024

 Grafico 1 – Andamento del tasso di cambio USD/JPY, 2010 - 2024

Fonte: elaborazione Ufficio Studi Davide Berti su dati Yahoo finance

Come mostrato dal grafico il cambio tra dollaro statunitense e yen giapponese è stato storicamente volatile con il dollaro statunitense che nel giro di dieci anni ha aumentato la propria forza nei confronti nello yen giapponese, toccando nel 2024 nuovi massimi storici. Ricordo brevemente che un cambio USD/JPY di 160 significa che per acquistare un dollaro statunitense occorrono 160 yen giapponesi e l’aumento del tasso di cambio USD/JPY va a tradursi in un aumento della forza del dollaro statunitense nei confronti dello yen giapponese; viceversa, una diminuzione del cambio USD/JPY va a significare un aumento della forza dello yen nei confronti del dollaro. 

I rischi del carry trade

Comprese le determinanti di una buona riuscita della strategia, ossia l’andamento dei tassi di interesse e l’andamento del tasso di cambio tra una coppia di valute, vediamo quali sono i rischi connessi a tali determinanti. 

Il rischio connesso all’andamento dei tassi di interesse dipende dalle decisioni di politica monetaria delle banche centrali che controllano la base monetaria della valuta in cui ci si finanzia e della valuta in cui si investe. A decisioni inattese del mercato in materia di politica monetaria potrebbe conseguire un azzerarsi del profitto con la strategia attuata. 

Il rischio connesso alle fluttuazioni del tasso di cambio è il rischio più concreto a cui si espone un investitore che cerca di ottenere profitto con il carry trade. Infatti, se la valuta in cui si effettua l’investimento si indebolisce rispetto alla valuta di finanziamento, l’operazione potrebbe muoversi in senso negativo. 

Torniamo all’esempio precedente dell’investitore che si finanziava in yen giapponesi ad un tasso dello 0,5% per acquistare Treasury ad un tasso del 5%; in caso di un deprezzamento del dollaro statunitense del 4,5% nel corso del mese l’operazione avrebbe portato ad un profitto nullo l’investitore in quanto i guadagni del 4,5% maturati dell’investimento in Treasury sarebbero stati vaporizzati dal deprezzamento del tasso di cambio USD/JPY.

Arrivati a questo punto ti chiederai perché lo yen giapponese è stato utilizzato in tutto l’approfondimento. La risposta è semplice: lo yen giapponese è da sempre la valuta di riferimento per le operazioni di carry trade in quanto la banca centrale giapponese negli ultimi anni ha ridotto al minimo i tassi di interesse al fine di aumentare la massa monetaria in circolazione (M0); con tale intervento lo yen non si è quindi tendenzialmente rivalutato nei confronti delle altre valute, ad esempio il dollaro, con la FED che contrariamente alla BOJ ha messo in campo una politica monetaria molto restrittiva per contenere le spinte inflazionistiche. Il risultato negli ultimi anni è quindi stato quello di un carry trade possibile e con buoni ritorni per gli investitori che si sono finanziati in yen giapponesi per acquistare Treasury a breve scadenza denominati in dollari statunitensi. 

Il carry trade con lo yen è pero molto rischioso in quanto la probabilità di un potenziale rialzo dei tassi da parte della BOJ per rallentare eventuali spinte inflazionistiche e/o evitare un’eccesiva svalutazione dello yen è dietro l’angolo. Conoscono bene questo rischio gli investitori che nell’ottobre del 1998 avevano in atto strategie di carry trade tra USD e JPY: in soli quattro giorni la valuta nipponica guadagnò il 15% sul dollaro statunitense a causare importanti perdite agli investitori che stavano seguendo la strategia del carry trade.

Conclusione

Il carry trade è una strategia utilizzata prevalentemente da investitori istituzionali o hedge fund, istituzioni che hanno interi dipartimenti di risk management che vanno a strutturare strategie efficienti ed efficaci quantificando ogni potenziale perdita e guadagno ex ante.

Improvvisare una strategia di carry trade come investitori retail potrebbe portare a perdite importanti, perdite dovute alle oscillazioni quotidiane dei tassi di cambio o a decisioni di politica monetaria non attese.

Resto a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.

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Davide Berti, consulente finanziario

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