Soldi e felicità: una relazione complessa

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I soldi possono comprare la felicità? Quante volte abbiamo sentito questa frase; una riflessione eterna, tanto discussa quanto complessa, a cui probabilmente è impossibile dare una risposta definitiva.

La nozione di felicità, infatti, per sua stessa natura non può essere ridotta ad una definizione oggettiva ed unica, come accade per un concetto materialistico come i soldi. Già capire cosa sia la felicità è di per sé qualcosa che ci porta ai confini con la filosofia. Pretendere di identificare una precisa correlazione con il denaro è qualcosa di praticamente impossibile. 

Tuttavia, alla scienza piace trovare risposte a domande impossibili. Anche quando questo significa proporre delle soluzioni che non devono per forza rappresentare una risposta assoluta.

Cosa dice la ricerca

Ma quindi avere più soldi ci rende più felici?

Questa è proprio la domanda di ricerca alla base degli studi dei due noti ricercatori statunitensi dell’Università di Princeton, lo psicologo Daniel Kahneman, conosciuto come fondatore dell’economia comportamentale, e l’economista Angus Deaton, (entrambi premiati con il Nobel per l’economia) in uno studio del 2010

L'obiettivo della ricerca era verificare se il denaro influenzasse due definiti aspetti della vita emotiva delle persone:

  1. la qualità quotidiana della vita, cioè la gioia, lo stress, la tristezza, la rabbia e l'affetto. Tutti aspetti che rendono la vita piacevole o spiacevole quotidianamente. 
  2. la valutazione della vita nel suo complesso, ovvero i pensieri che le persone hanno quando riflettono sulla loro vita in generale, una sorta di soddisfazione della vita. 

Analizzando un grande quantità di dati basati sui cittadini statunitensi, i due ricercatori hanno rilevato che il denaro ha effettivamente un impatto su come le persone valutano la propria vita (in termini di valutazione complessiva quindi); le persone con più denaro si sentono meglio riguardo alla propria esistenza. 

Fin qua tutto chiaro. Quello che però è interessante notare è che, per quanto riguarda il benessere emotivo (quello che si sperimenta nella vita di tutti i giorni) questo aumenta con il reddito, come previsto, ma solo fino ad un certo punto: $75.000. (valore riferibile al salario annuo). Oltre tale soglia, le persone non testimoniavano una significativa maggiore felicità con salari più alti

Lo studio ha quindi confermato che il basso reddito è associato sia a una bassa valutazione della vita sia a un basso benessere emotivo, ma ha anche confermato che un reddito elevato “compra" la soddisfazione della vita ma non la felicità quotidiana.

Il Grafico 1 presenta i risultati ottenuti da un punto di vista grafico. Nel grafico sono riportate le medie di otto gruppi di reddito per i tre aspetti del benessere emotivo: effetto positivo (Positive affect; eri felice ieri?), effetto blue (Not blue; ti sei sentito triste ieri?), stress (Stress free; ti sei sentito stressato ieri?) oltre che la valutazione della vita in relazione al reddito familiare (Ladder; nel complesso ti senti soddisfatto?). 

Grafico 1: Impatto dei soldi sulla felicità

Grafico 1: Impatto dei soldi sulla felicità   
Fonte: Kahneman D. & Deaton A. 2010

Il Grafico 1 mostra chiaramente che per tutte le misure di benessere esperienziale, gli individui nei gruppi di reddito più basso stanno mediamente peggio di quelli nei gruppi superiori, ma quelli nei due gruppi superiori non differiscono tra loro. Questa osservazione implica che il benessere emotivo raggiunge la sazietà da qualche parte nella terza categoria di reddito dall'alto. Analizzando il grafico, infatti, notiamo che oltre circa $75,000/anno, non vi sia alcun miglioramento in nessuna delle tre misure di benessere emotivo

Al contrario, la figura mostra un aumento abbastanza costante della valutazione della vita con il reddito (descritto sotto forma di scala logaritmica); gli effetti del reddito sulla valutazione della vita degli individui non mostrano segni di sazietà, almeno fino a un importo ben superiore ai $120.000.

Come mai questi risultati? Una risposta potrebbe essere legata a quello che gli studiosi chiamano “effetto treadmill” (“effetto tapis-roulant”): l’uomo è portato ad abituarsi al piacere e per questo motivo è sempre alla ricerca di qualcosa di meglio. In pratica è come se corressimo inconsapevolmente su un tapis-roulant rimanendo sempre fermi. Pensiamo all’acquisto di un nuovo bene di consumo, come una macchina di lusso; sebbene provochi inizialmente un miglioramento dell’umore e del benessere nel consumatore, sul lungo termine tende a svanire rapidamente e a essere sostituito da un desiderio più sofisticato e costoso.

Non tutti concordano

In contrasto a tale tesi, uno studio pubblicato nel 2021 da Matthew Killingsworth dell'Università della Pennsylvania ha scoperto che la felicità aumentava costantemente con il reddito ben al di là dei 75.000 $, senza evidenza di un plateau (vedi Grafico 2).

Grafico 2: Non esistono plateau

Grafico 2: Non esistono plateau 

Fonte: Killingsworth (2021)

Nelle conclusioni dello studio, il ricercatore ha evidenziato che per la maggior parte delle persone la felicità continua ad aumentare di pari passo con l’aumento del reddito, anche se ci si trova in una fascia di reddito alta. 

Ma quindi qual è la verità?

Recentemente, Kahneman e Killingsworth, insieme a Barbara Mellers, professoressa di psicologia e di marketing all’University of Pennsylvania, hanno realizzato un nuovo studio congiunto che sembrerebbe risolvere la questione. 

Ne è emerso che la conclusione tratta nel 2010 da Kahneman e Deaton non era del tutto sbagliata: semplicemente, non poteva essere applicata all’intera popolazione, ma solo a coloro che, di base, risultano meno felici. In altre parole, per i partecipanti allo studio che vivono un’esperienza emotiva più improntata alla negatività, l’impatto positivo del denaro non influisce oltre un determinato livello (tra il 15 - 20% del campione sotto esame). 

Questa porzione di popolazione evidenzia alcune caratteristiche cliniche comuni, tra cui depressione, ansia, mancato superamento di un lutto o problemi di salute. Nel loro caso, spiegano i ricercatori, la loro sofferenza può diminuire man mano che il loro reddito sale ma questo comunque non impatta completamente sul loro livello di felicità.

Questo non vale invece per chi registra in generale un buon livello di felicità, che continua a veder crescere il livello di benessere all’aumentare del reddito, senza limiti di soglia.

In altre parole, il benessere emotivo ed il reddito non sono collegati da una singola relazione; la funzione differisce per le persone con diversi livelli di benessere emotivo:

  • gruppo meno felice => la felicità aumenta con il reddito fino a $100.000 (la soglia è aumentata dai 75.000$ dallo studio del 2010) poi si stabilizza;
  • gruppo più felice => la felicità continua ad aumentare con il reddito anche sopra i $100.000;

In conclusione, eccezion fatta per chi è infelice per altre ragioni, nella maggior parte dei casi, a un reddito più alto corrisponde un maggior livello di felicità. 

Lo studio poi conferma che, per le persone con redditi più bassi, un miglioramento della situazione finanziaria porta a un aumento significativo della felicità percepita, molto più rispetto a chi parte da condizioni di benessere economico più elevate.

Tali informazioni offrono un contributo significativo all'analisi di questioni collettive, come le aliquote fiscali e le modalità di retribuzione dei dipendenti.

A livello più personale, le conclusioni di questo studio possono fornire spunti di riflessione per chi è in procinto di decidere se focalizzarsi sulla carriera e sui potenziali guadagni o dare priorità ad altri aspetti della vita.

L’evidenza a livello nazionale: felicità e Pil

Se estendiamo l’analisi a livello aggregato considerando i dati nazionali tali pattern sembra confermarsi (vedi Grafico 3), almeno in parte..

In particolare, la relazione che emerge dai dati evidenzia che, mentre l'aumento del reddito nazione è associato a un incremento della felicità, il tasso di incremento della felicità diminuisce man mano che il reddito cresce. In altre parole, ogni ulteriore unità di reddito aggiunge sempre meno alla felicità rispetto all'unità precedente. Questo è coerente con l'idea che c'è una diminuzione marginale della felicità con l'aumento del reddito. 

Seppure con delle eccezioni nei paesi poveri, un aumento del PIL pro capite ha un impatto significativo sul benessere dei cittadini, poiché consente loro di soddisfare bisogni primari come ad esempio cibo, alloggio e assistenza sanitaria. Nei paesi più ricchi, dove questi bisogni sono già ampiamente soddisfatti, l'aumento del reddito ha un effetto minore sulla felicità. Ad esempio, paesi come Lussemburgo e Singapore, nonostante abbiano un PIL pro capite molto elevato, non mostrano livelli di felicità significativamente superiori rispetto agli Stati Uniti.

Grafico 3: Relazione Felicità e PIL

 Grafico 3: Relazione Felicità e PIL

Fonte: Il Sole 24 Ore (dati: World Happines Report 2023)

L’idea che non esistesse una relazione lineare tra soldi e felicità era già stata messa in discussione negli anni Settanta dall’economista Richard Easterlin che, nel 1974, elaborò una teoria, nota come il “paradosso della felicità”. 

Secondo questa teoria, sebbene all'interno di un paese le persone più ricche siano più felici delle persone più povere, nel lungo termine, l'aumento del reddito medio di un paese non porta necessariamente a un aumento della felicità media nazionale. Questo paradosso suggerisce che la crescita economica, a livello nazionale, non si traduce automaticamente in una maggiore felicità per tutti i cittadini.

Easterlin ha spiegato questo paradosso con due fattori principali:

  • adattamento: le persone si adeguano rapidamente al loro nuovo livello di reddito. L’aumento della felicità è solo temporaneo;
  • aspettativa sociale: le persone si aspettano che il loro reddito aumenti nel tempo. Un aumento del reddito tendenzialmente non porta a un aumento della felicità, ma solo a un aumento delle aspettative.

Il paradosso di Easterlin ha implicazioni importanti per la politica economica. In particolare, suggerisce che la crescita economica non è sempre la soluzione migliore per aumentare la felicità della popolazione. In alcuni casi, la crescita economica può addirittura portare a una diminuzione della felicità, se si traduce in un aumento della disuguaglianza o in un deterioramento dell’ambiente.

Tale evidenza ci porta a concludere che tutti gli studi esplorati in questo articolo, nonostante utilizzino prospettive leggermente diverse, portano a conclusioni che possono essere considerate complementari sia in termini individuali che a livello nazionale.

Soldi e felicità: una relazione complessa

Il legame tra prosperità economica e felicità è più complesso di quanto possa sembrare ed è un dibattito aperto. Ci sono molti altri fattori che influenzano questa correlazione tra benessere economico e felicità come la salute, la famiglia, il tempo libero, la soddisfazione lavorativa, il networking sociale o i valori personali.

Indipendentemente dal valore del plateau (75.000 $, 100.000 $ o qualsiasi altra cifra) quello che è importante sottolineare è che accumulare ricchezza non sembrerebbe quindi essere necessariamente la chiave di una vita più “felice”, tuttavia, la valutazione del benessere personale sarebbe molto legata allo stato socioeconomico dell’individuo.

Va evidenziato infatti che un reddito inferiore, non determina necessariamente un basso benessere emotivo, ma può rendere le persone più vulnerabili alle problematiche della vita quotidiana e ciò potrebbe impattare notevolmente il benessere di una persona.

Avere più soldi porta a maggiori possibilità di scelta, di libertà ed una sensazione di maggiore controllo sulle nostre vite e circostanze. La sociologa Rachel Sherman ha intervistato ricchi abitanti di New York riguardo ai loro sentimenti sulla ricchezza ed una risposta tipica alla sua domanda sui benefici dell'essere ricchi era che la ricchezza forniva libertà e una sensazione di controllo. Questa sensazione di controllo e autonomia è un ingrediente cruciale di come percepiamo le nostre vite.

I soldi da soli potrebbero non renderci felici, ma sono una risorsa che, se usata correttamente, può aumentare la felicità.

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Davide Berti, consulente finanziario

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Forse non sai quanto sia facile cadere in errore per colpa di processi mentali istintivi, abitudini, credenze o per meccanismi contro-intuitivi. In questa sezione voglio introdurre la branca della finanza nota come Finanza Comportamentale, una psicologia dell'investire che studia tutti quei comportamenti più o meno dannosi per il tuo portafoglio che sono difficilissimi da individuare e gestire, soprattutto se si è soggettivamente coinvolti.

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In un mondo basato sulle dinamiche economiche, dove troppo spesso le conoscenze finanziarie sono limitate o assenti, verificare la professionalità di un consulente è necessario quanto difficile. Per questo affianco al mio lavoro questo progetto di consapevolizzazione.

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