L'11 luglio 1899, in un palazzo del centro storico di Torino, si incontra un gruppo di aristocratici e industriali piemontesi per fondare la prima fabbrica italiana di automobili su scala industriale.
All'ultimo momento viene coinvolto Giovanni Agnelli, chiamato a entrare nel progetto da un amico per sostituire un socio ritirato. Ex ufficiale di cavalleria, ha viaggiato, conosce il mondo degli affari e soprattutto ha una visione: l'automobile non è un giocattolo per ricchi, ma il futuro del trasporto.
Insieme fondano una società che cambierà la storia: FIAT.
La FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) alla sua nascita è davvero poco più di un garage: nel primo anno produce solo 8 automobili costruite a mano in una ex officina. Ma Agnelli capisce subito non basta saper fare le auto, bisogna saperle anche vendere. Devi controllare tutto il processo produttivo.
Ogni volta che l'azienda ha bisogno di capitali, Agnelli è sempre il primo a investire mentre gli altri soci esitano. Nel 1903 porta FIAT in Borsa. Nel 1906 Agnelli diventa azionista di maggioranza.
La Prima Guerra Mondiale rappresenta un momento cruciale. Agnelli decide di convertire gran parte della produzione civile in materiale bellico. La scelta è rischiosa ma redditizia. Nel 1917 l'azienda ha 40.000 dipendenti e il patrimonio personale di Agnelli tocca già i 50 milioni di lire, un valore che oggi corrisponderebbe a quasi 124 milioni di euro (Fonte: Istat).
Nel frattempo, nel 1916 si era iniziano a costruire il Lingotto, che diventerà il simbolo dell'Italia industriale. Giovanni ha studiato i metodi di Henry Ford e vuole portare la rivoluzione della catena di montaggio anche in Italia.
Prima ci voleva una settimana per fare un'auto, ora ne esce una al giorno. FIAT arriva a controllare oltre l'80% del mercato italiano.
Ma la vera intuizione degli Agnelli non fu solo industriale. Fin da subito, la famiglia comprese che per dominare un settore economico bisognava avere influenza anche negli ambiti strategici del potere: informazione, politica e consenso popolare. Nel 1923 entra nella Juventus mentre nel 1926 compra La Stampa.
Per coordinare questi investimenti diversificati, nel 1927 crea l'IFI (Istituto Finanziario Industriale) holding che raccoglie sotto un'unica struttura tutte le partecipazioni della famiglia: oltre a FIAT, ci sono aziende alimentari, servizi finanziari e persino il complesso turistico di Sestriere.
Il capolavoro arriva nel 1936 con la FIAT 500 "Topolino": per la prima volta un'automobile non è più un lusso per ricchi, ma diventa accessibile alla classe media.
Tuttavia, i rapporti con il fascismo complicano le cose. Nel dopoguerra Giovanni Agnelli è costretto a dimettersi per evitare accuse di collaborazionismo. Muore nel 1945, lasciando un'eredità complessa.
L’erede designato è Gianni Agnelli, che ha appena 24 anni e non ha fretta di entrare in azienda. Così il potere passa a Vittorio Valletta, "il Professore", il manager di fiducia del fondatore. Valletta non si accontenta di gestire, ma innova. Nel 1957 rilancia la Nuova 500 che diventa il simbolo della rinascita italiana.
Nel 1949 c'è un'auto ogni 96 abitanti, nel 1963 una ogni 11. La 500 porta le famiglie italiane alle prime vacanze al mare, ai weekend fuori porta.
Nel 1966 arriva finalmente il momento di Gianni Agnelli. A 45 anni, "l'Avvocato" decide che è ora di prendersi le sue responsabilità. La sua missione: trasformarla in una multinazionale.
Prima lancia auto innovative: la 128 del 1969 è la prima FIAT con motore davanti e trazione anteriore. Poi inizia l'espansione internazionale: stabilimenti in Jugoslavia, in sud America, in Polonia, e persino nell'Unione Sovietica.
Questa strategia di delocalizzazione serve a diversi scopi: sfruttare manodopera meno costosa, aggirare le barriere doganali e adattare i prodotti alle esigenze locali.
Nel 1969 entra anche nel mondo delle supercar, acquisendo il 50% della Ferrari da Enzo Ferrari, portando la leggendaria casa di Maranello nell'orbita del gruppo torinese.
Man mano che l'impero cresce, la struttura diventa sempre più complessa. Tra gli anni '70 e '80 FIAT produce auto, camion e trattori. Controlla giornali, banche, assicurazioni. È il momento di massima potenza della famiglia Agnelli.
Ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, iniziano i problemi. Nel 1973 arriva la crisi petrolifera: il prezzo del petrolio quadruplica e i consumatori non vogliono più auto grosse. Come se non bastasse, arriva la concorrenza giapponese: Toyota, Nissan e Honda iniziano a conquistare l'Europa con auto più economiche.
Il 1980 diventa l'anno più nero: 23.000 lavoratori in cassa integrazione, debiti a 6.800 miliardi. L'azienda rischia di fallire. Gianni Agnelli organizza quella che passerà alla storia: la "marcia dei 40.000" del 14 ottobre 1980. Impiegati e operai sfilano per Torino chiedendo ai sindacati di poter tornare a lavorare. È una mossa che spezza il fronte sindacale e restituisce slancio interno.
Gli anni Ottanta rappresentano una rinascita: si spinge sulla delocalizzazione per tagliare i costi e sull’automazione. La Uno del 1983 diventa il simbolo di questo rilancio: vince l'Auto dell'Anno e arriva a vendere 8 milioni di pezzi - record per FIAT.
Ma il successo degli anni Ottanta nasconde molti problemi. Il mondo cambia velocemente e la FIAT fatica a stare al passo. Il mercato italiano si satura: le famiglie non comprano più la prima auto, ma sostituiscono quella che hanno.
Gli anni Novanta trasformano questi segnali in crisi. Dal 1988 al 1993 FIAT non lancia alcun modello di rilievo. Nel 1993, con Schengen, l'Europa elimina le barriere commerciali e FIAT perde le protezioni che l'avevano aiutata a dominare in casa. Dal 60% circa del mercato italiano nei primi anni ’80, la quota si è ridotta al 33% all’inizio degli anni 2000.
I primi anni 2000 portano la situazione al tracollo. Nel 2002 i debiti raggiungono 35,5 miliardi di euro. Il titolo FIAT diventa "junk bond. Ogni giorno FIAT perde 5 milioni di euro.
Come se la crisi industriale non bastasse, arriva la tragedia familiare: nel 2003 muore Gianni Agnelli, nel 2004 il fratello Umberto. La famiglia perde i suoi due leader storici nel momento più buio.
In questo scenario drammatico emerge John Elkann, 28 anni. John appartiene al ramo "collaterale" della famiglia Agnelli: è figlio di Margherita Agnelli - l'unica figlia femmina di Gianni - e dell'industriale italo-francese Alain Elkann. Dal 1997, quando ha solo 21 anni, siede già nel cda di FIAT per volere del nonno, nonostante non porti il cognome Agnelli.
Vista la grave situazione serviva un’inversione di rotta. La scelta del nuovo amministratore delegato ricade su Sergio Marchionne, manager poco conosciuto ma con un curriculum internazionale. FIAT perde 1,5 miliardi l'anno, i dipendenti sono scoraggiati, tutti la considerano spacciata.
Ma Marchionne è un tipo particolare. Rivoluziona tutto.
Chiude le fabbriche poco produttive, taglia la burocrazia, manda via i manager incapaci. Nel 2007 lancia la nuova FIAT 500 che diventa un fenomeno mondiale. Il titolo schizza dai 4 euro del 2005 ai 23 del 2007.
Nel 2009 divide FIAT in due aziende separate: FIAT Industrial con i camion Iveco, i trattori CNH e i motori industriali e FIAT Auto. L'obiettivo è valorizzare meglio ciascuna attività.
Ma la mossa più audace arriva nell'aprile 2009: decide di salvare Chrysler, il terzo costruttore americano appena fallito. FIAT ha bisogno di dimensioni globali e Chrysler ha marchi come Jeep, oltre che il mercato americano.
Negozia un accordo con Obama: FIAT prende il 20% di Chrysler senza pagare un centesimo, conferendo semplicemente tecnologie italiane. In due anni Chrysler torna a fare utili. FIAT aumenta la quota fino al 100% nel 2014, creando FCA (Fiat Chrysler Automobiles) - il settimo gruppo automobilistico mondiale che fattura 110 miliardi.
Nel 2015 Marchionne separa Ferrari dal resto del gruppo. Nel 2015 Ferrari valeva 10 miliardi dentro FCA, oggi vale oltre 80 miliardi da sola. Anche CNH Industrial viene quotata nel 2013, permettendo di ottenere dal mercato nuove risorse.
Quando Marchionne muore improvvisamente nel 2018, lascia un'eredità straordinaria. Nel 2004 FIAT valeva 5,5 miliardi. Nel 2018 il valore complessivo supera i 60 miliardi.
John Elkann si ritrova un gruppo risanato ma la sfida è grande: l'automobile sta vivendo una fase di rivoluzione. Rimanere al passo con i competitor richiede investimenti miliardari che FCA da sola non può sostenere. Serve un partner.
Nel 2019 il gruppo identifica l'alleato giusto per unire le forze: PSA, il gruppo francese di Peugeot. I due gruppi si completano: FCA domina in America e nei SUV redditizi, PSA è forte in Europa e nell’elettrico.
Dalla fusione dei due gruppi nel gennaio 2021 nasce Stellantis: un colosso da oltre 150 miliardi di euro di fatturato, quarto produttore mondiale con 14 marchi (FIAT, Alfa Romeo, Jeep, Chrysler, Peugeot e altri) e con una capitalizzazione complessiva di mercato di 42 miliardi di euro. John Elkann ne diventa presidente.
Ma Stellantis è solo una parte del quadro della famiglia che l'ha creata.
Rappresenta oggi solo il 13,3% del portafoglio della holding della famiglia Agnelli, Exor – un pezzo significativo ma non più dominante di un impero da 42,5 miliardi di euro, valore complessivo stimato degli asset detenuti (NAV).
Al 31 dicembre, in base al valore di mercato del portafoglio, le partecipazioni principali sono:
- Ferrari: 43,2% del valore del portafoglio
- Stellantis: 13,3%
- Philips: 9,5%
- CNH Industrial: 9,4%
- Oltre che altri investimenti minori in società come Iveco, The Economist, Juventus, e altri
Grafico 1: Partecipazioni Exor
Fonte: Exor
Il controllo della famiglia Agnelli
Guardando questi numeri sorge spontanea una domanda: come ha fatto la famiglia piemontese a costruire e mantenere il controllo su un impero di queste dimensioni?
Il segreto sta nel meccanismo della leva azionaria.
La leva azionaria è una tecnica finanziaria che permette di moltiplicare il controllo oltre il capitale effettivamente investito.
Come? Invece di controllare direttamente una grande azienda (che richiederebbe capitali enormi), si crea una catena di società dove ognuna controlla la successiva. Ogni società della catena possiede appena il 51% di quella sotto, ma questo basta per controllarla completamente. Il controllo si moltiplica lungo la catena mentre l'investimento richiesto rimane contenuto.
Dal punto di vista matematico, si esprime come il rapporto tra il capitale investito dall'azionista di controllo e il patrimonio totale del gruppo.
Vediamo con un esempio teorico come funziona:
- L'azionista di controllo possiede il 51% della Società A (capogruppo con capitale sociale di 100 euro)
- La Società A usa tutto il suo capitale per comprare il 51% della Società B. Poiché il 51% di 196 euro equivale esattamente a 100 euro, A controllare B
- La Società B a sua volta investe tutto il suo capitale per comprare il 51% della Società C.
- La Società C controlla il 51% della Società D (società operativa con capitale di 784 euro), investendo 392 euro per ottenere il controllo
A ogni livello, la società controllante investe tutto il suo capitale per comprare esattamente la quota di controllo (51%) della società successiva. Il restante 49% di ogni società è posseduto da azionisti di minoranza frammentati.
L'azionista a monte, investendo solo 51 euro (il 51% di 100 euro), finisce per controllare una società da 784 euro. Ha moltiplicato per 15 la sua capacità di controllo rispetto ai soldi effettivamente investiti.
Calcolando la sua quota possiede meno del 7% della società finale, ma la controlla perché il potere decisionale si trasmette lungo tutta la catena.
Gli azionisti di minoranza mettono 733 euro. Eppure, sono loro a non avere voce in capitolo.
Nell'esempio che abbiamo visto, l'azionista aveva sempre bisogno del 51% per mantenere il controllo a ogni livello. Ma nella realtà, il sistema può funzionare anche con percentuali ancora più basse grazie al principio della maggioranza relativa.
Come funziona?
Nelle aziende quotate, gli azionisti sono spesso frammentati: migliaia di piccoli investitori con quote minuscole. In questo scenario, non serve la maggioranza assoluta per comandare. Generalmente se possiedi il 20% e tutti gli altri hanno l'1-2%, sei automaticamente il "padrone" dell'azienda.
C'è un altro fattore: alle assemblee partecipa raramente più del 40% del capitale. I piccoli risparmiatori spesso non si presentano o delegano il voto. Chi si presenta con una quota significativa ha di fatto la maggioranza dei voti espressi.
A ciò si aggiungono le azioni privilegiate. Non tutte le azioni infatti sono uguali: alcune danno diritto a più voti di altre. Le "azioni speciali" o "a voto multiplo" premiano chi mantiene l'investimento a lungo termine. Un investitore normale ha un voto per azione, ma chi tiene le azioni per cinque anni consecutivi può ottenere cinque voti per azione, chi le tiene per dieci anni può arrivare a dieci voti e così via.
Ed ecco come la famiglia Agnelli, ed in particolare John Elkann sfruttando questi due strumenti sono riusciti ad arrivare al vertice del controllo societario.
Vediamo meglio com’è struttura questa complessa macchina societaria:
Alla base dell'intero sistema c'è la Dicembre Società Semplice, una piccola società di famiglia fondata nel 1984 con un capitale di 103 milioni di euro. È qui che tutto ha inizio. La proprietà è divisa tra i tre fratelli Elkann: John Elkann possiede il 60%, mentre Lapo e Ginevra Elkann si dividono equamente il restante 40% con il 20% ciascuno.
Ma la Dicembre non investe direttamente in Ferrari o Stellantis. Questa piccola società controlla il 41% della società Giovanni Agnelli B.V., una holding molto più grande che, tramite 3 rami, funge da "contenitore" per tutti i discendenti della famiglia Agnelli. Il restante 59% della Giovanni Agnelli B.V. è distribuito tra circa 100 membri della famiglia allargata: figli, nipoti, cugini sparsi in vari rami familiari.
La Giovanni Agnelli B.V. a sua volta controlla il 55% della holding Exor quotata alla borsa di Amsterdam. Exor è la società che tutti possono comprare e vendere sui mercati finanziari internazionali, quella che appare sui giornali economici, quella che effettivamente possiede le aziende famose che conosciamo. È il ponte tra la famiglia Agnelli e il mondo degli affari globali.
Grafico 2: Azionisti Exor
Fonte: Exor
Seguendo questa catena matematicamente, ad esempio la quota effettiva di John Elkann in Stellantis risulta del 2,10% (60% × 41% × 55% × 15,5%). John Elkann, possedendo direttamente il 2% di Stellantis, ne è il presidente e ne determina le strategie globali.
Lo stesso calcolo vale per Ferrari (2,64%) e CNH Industrial (3,64%). Percentuali che in condizioni normali darebbero un'influenza marginale, ma che attraverso la struttura di controllo si traducono in potere decisionale effettivo.
Grazie ai diritti speciali legati alle sue partecipazioni Exor ha un potere di voto amplificato: in Ferrari il 19,5% del capitale vale oltre il 32% dei voti; in CNH il 26,9% dà accesso al 45,3%; in Stellantis il 15,5% assicura il 24%.
Grafico 3: Partecipazioni Exor (diritti economici e di voto)
Fonte: Exor
Cosa possiamo imparare da questa storia?
La storia della FIAT e della famiglia Agnelli sono sicuramente un’interessante cronaca d’impresa, ma anche un esempio perfetto per capire come le dinamiche interne e i meccanismi di controllo influenzino il destino di una società.
Questo è interessante per diversi motivi, soprattutto per dei potenziali risparmiatori.
Per un investitore è fondamentale capire chi ha davvero il potere decisionale e come lo esercita. Questo ci aiuta a capire dove stiamo mettendo i nostri soldi, quali sono i loro obiettivi e orizzonti temporali, e quindi che tipo di investimento stiamo facendo.
Le famiglie proprietarie, come gli Agnelli, pensano a lungo termine ma possono essere influenzate da interessi personali. Un azionariato frammentato rischia di mancare di leadership. Gli investitori istituzionali hanno interessi e orizzonti diversi. fondi sovrani seguono spesso obiettivi geopolitici.
Tutto ciò sul lungo periodo ha un impatto significativo sul nostro investimento.
Conclusioni
Centoventicinque anni dopo quella firma, Stellantis vive le sfide più complesse della sua storia.
L'automobile si è trasformata da prodotto meccanico a computer su ruote. I costruttori cinesi hanno ridefinito le regole del gioco con tecnologie a basso costo, Tesla ha dimostrato che il futuro appartiene a chi padroneggia software e batterie. È una sfida che va ben oltre Stellantis e coinvolge l'intera industria globale.
Eppure, mentre l'azienda fatica, la famiglia Agnelli non è mai stata così ricca. Exor vale oltre quaranta miliardi di euro, vicino ai massimi storici, grazie a un patrimonio ampiamente diversificato in cui FIAT ormai conta poco più del 10%. È il risultato di una strategia sviluppata nel corso di generazioni per sopravvivere in un mercato sempre più competitivo e globalizzato.
FIAT è stata a lungo un simbolo nazionale: gli italiani la compravano per orgoglio patriottico, convinti di sostenere un'eccellenza del Paese. Ma questa immagine appartiene al passato. Tra fusioni, crisi e delocalizzazioni, quella FIAT che conoscevamo non esiste più: Stellantis ha sede in Olanda, produce dove costa meno e ha perso quasi ogni legame con l'Italia. Ciò che rimane immutato è il controllo della famiglia Agnelli, che nonostante tutto è riuscita a mantenere un ruolo di rilievo per oltre un secolo.
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