Nel 2024 abbiamo assistito alla crisi di uno dei business personali più influenti e mediatizzati d’Italia. Chiara Ferragni, che aveva trasformato il suo nome in un brand multimilionario si è trovata al centro di una bufera mediatica senza precedenti.
Ma cosa succede quando un business costruito interamente sull'immagine di una persona crolla in pochi mesi? E soprattutto, la situazione patrimoniale di Chiara Ferragni è davvero così grigia come la descrivono i giornali?
L’ascesa di Chiara Ferragni
Per capire cosa è successo, dobbiamo tornare indietro di quindici anni. Nel 2009, una ventitreenne di Cremona studia giurisprudenza alla Bocconi e passa le giornate sui social network che stanno rivoluzionando il modo di comunicare. Si chiama Chiara Ferragni e ha un'idea che cambierà tutto: trasformare la sua vita quotidiana in un business.
Insieme all’ex fidanzato Riccardo Pozzoli crea un blog chiamato "The Blonde Salad". L'intuizione è geniale: nell'era digitale, tu non vendi prodotti, tu vendi te stesso. Mentre altre blogger parlano di moda, lei diventa la moda. Ogni momento della sua vita diventa contenuto commercializzabile.
I successi si susseguono rapidamente: nel 2013 nasce Chiara Ferragni Collection, nel 2015 diventa la prima fashion blogger in copertina su Vogue, nel 2016 Forbes la inserisce tra i "30 Under 30 Europe".
Il vero salto in avanti nella popolarità arriva nel 2018 con il matrimonio con Fedez. Non è solo un matrimonio, è la fusione strategica di due macchine mediatiche, insieme diventano i Ferragnez.
Nel 2021 arriva anche il riconoscimento istituzionale: l'ingresso nel cda di Tod's. L'establishment italiano l'ha accettata come business woman a tutti gli effetti. Al culmine del successo fattura 14 milioni di euro l'anno, ha oltre 29 milioni di follower e ogni post può fruttare fino a 100.000 euro.
Ma proprio questa sovraesposizione totale iniziava a mostrare le prime contraddizioni.
Durante il Covid, i Ferragnez lanciano una raccolta fondi per il San Raffaele che diventa un caso mediatico. Vengono raccolti 4 milioni di euro dal pubblico, ma la donazione personale della coppia è di soli 100.000 euro.
E poi c'erano quegli eccessi. La bottiglia d'acqua da otto euro. La coppia che fatturava milioni ma si lamentava davanti agli scontrini della spesa. Contrasti che diventarono subito meme.
Poi arriva l’eccesso per eccellenza: il pandoro gate.
Novembre 2022. Balocco e Chiara Ferragni lanciano un pandoro natalizio in edizione limitata a oltre 9 euro, più del doppio del prezzo normale. L'operazione viene presentata come iniziativa benefica per l'ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino.
Selvaggia Lucarelli, giornalista italiana, nota un dettaglio: tra gli hashtag di Ferragni c'è sempre #adv - contenuto sponsorizzato, pagato. Si fa una domanda: "È beneficenza o è business?". La verità era che Balocco aveva già donato 50.000 euro all'ospedale nel maggio 2022, mesi prima del lancio. La donazione era fissa, già pagata. Non aveva nessuna correlazione con le vendite. Nel frattempo, Chiara incassava oltre un milione per la licenza del marchio.
Nell'estate del 2023 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato avvia un'istruttoria nei confronti di Balocco S.p.A. e delle società che gestiscono i marchi e i diritti di Chiara Ferragni, per "pratica commerciale scorretta”. A dicembre l’autorità decide di sanzionare le società.
Ma il pandorogate era solo l'inizio. Mentre Chiara cercava di contenere i danni, le tensioni con Fedez - già evidenti da Sanremo 2023 - si facevano sempre più palesi attraverso i silenzi social di una coppia un tempo inseparabile.
Poi il colpo finale: la separazione dopo sei anni. Non solo la fine di una storia d'amore, ma il crollo definitivo del mito dei social italiani.
Le conseguenze economiche
Arrivati a questo punto veniamo al fulcro centrale del discorso: quali sono state le conseguenze reali-economiche di questa tempesta perfetta sui conti di Chiara Ferragni?
Per comprendere davvero l'impatto economico di questa sequenza di eventi, bisogna prima capire come è organizzata la macchina imprenditoriale di Chiara.
Al vertice di questo ecosistema c'è Sisterhood, la holding che fa da ombrello a tre società operative, ognuna con un ruolo specifico nell'impero Ferragni.
- TBS Crew è dove tutto è iniziato: gestisce il blog The Blonde Salad, che l'ha resa famosa, e funziona come agenzia per curare l'immagine, le collaborazioni ed il fronte marketing.
- Ferragni Enterprise: si occupa degli investimenti e della gestione degli asset immobiliari, incluso il famoso immobile in zona CityLife dove viveva con Fedez.
- Fenice è però il cuore pulsante del business: possiede il marchio "Chiara Ferragni" e lo monetizza attraverso linee di abbigliamento, scarpe, borse, gioielli, ma anche tramite collaborazioni con altri brand che vogliono sfruttare la sua notorietà. È qui che si genera la maggior parte dei ricavi diretti dal personal branding. Ed è qui si vede chiaramente l'impatto della crisi.
I ricavi di Fenice passano da 14 milioni del 2022 a 11 milioni nel 2023, fino al tracollo del 2024: appena 2 milioni di euro. In pratica, in due anni, ha perso l'86% del fatturato.
Le perdite cumulate tra il 2023 e 2024 ammontano a 10,2 milioni di euro, una cifra che ha letteralmente azzerato il patrimonio societario. Il disastro ha travolto anche il retail fisico: Fenice Retail ha bruciato 1,2 milioni in due anni con ricavi di appena 644.000 euro contro costi di 2 milioni. Risultato: liquidazione e chiusura definitiva per i negozi di Milano e Roma.
Per evitare il fallimento, Claudio Calabi - manager specializzato in aziende in crisi - ha operato tagli drastici: personale ridotto da 27 a 8 dipendenti, uffici chiusi. Ma nemmeno questo è bastato.
Per evitare il fallimento, serve un aumento di capitale da 6,4 milioni di euro.
Ma cos'è esattamente un aumento di capitale? In parole semplici: quando una società ha bisogno di soldi, può chiedere ai soci di versare nuovo denaro in cambio di quote aggiuntive. Ogni socio ha il diritto di partecipare in proporzione a quello che già possiede.
In quel momento, Chiara non era l'unica proprietaria di Fenice. Controllava solo il 32,5% della società, mentre il resto era nelle mani di due investitori entrati negli anni d'oro: Paolo Barletta (40%), imprenditore romano a capo del Gruppo Barletta e Pasquale Morgese (27,5%), imprenditore pugliese del settore delle calzature.
Quest’ultimo vota contro l'aumento di capitale, convinto che "non si vedano prospettive per Fenice”. Accusa Chiara di aver "generato perdite fittizie" per giustificare l'azzeramento del capitale e eliminarli come soci scomodi. Per questo annuncia battaglia legale, riservandosi di impugnare sia il bilancio che l'operazione.
Barletta invece vota a favore ma quando arriva il momento di versare effettivamente i 6,4 milioni, solo Chiara decide di pagare.
A questo punto si verifica quella che in gergo tecnico è definita "diluizione". Quando si inietta nuovo capitale in una società, chi non partecipa vede automaticamente ridursi la propria quota percentuale. Facciamo un esempio. Se una società aveva 100 azioni e ne emette altre 100, chi possedeva 50 azioni (50%) ora ne ha sempre 50 ma su un totale di 200, quindi il 25%. Nel caso di Fenice, siccome solo Chiara ha sottoscritto l'aumento, ha ottenuto quasi tutte le nuove quote emesse. Solo Morgese mantiene lo 0,2% per diritti residui previsti dalla legge.
Il risultato di tutta l’operazione? Chiara arriva a controllare il 99,8% di Fenice, ma è rimasta praticamente sola, con i 6,4 milioni versati che sono serviti quasi interamente a ripianare i debiti.
Questi sono i numeri delle società. Ma davvero questi crolli aziendali si traducono automaticamente in rovina personale per Chiara Ferragni?
È davvero in rovina?
Alcuni giornali parlano dell’influencer come una persona andata in rovina. La realtà è che Chiara si trova in una situazione complessa. Ha subito una importante perdita del suo motore di crescita - la capacità di generare ricavi milionari ed espandere il business – oltre che un forte danno reputazionale. Ha scelto di risanare una situazione di tasca propria a discapito dei soci. Ma questo non significa necessariamente aver perso tutta la ricchezza già accumulata negli anni d'oro.
È vero: i dati finanziari emersi in questi mesi mostrano forti criticità, ma riguardano le sue società, non il suo patrimonio personale. Per valutare correttamente la posizione patrimoniale di Chiara Ferragni, è necessario scindere tra il patrimonio aziendale e il patrimonio personale.
Non abbiamo per ovvie ragioni visibilità completa sulla composizione del suo portafoglio, ma è evidente che, nel bene o nel male, non abbia concentrato tutto unicamente nelle sue aziende.
A quanto può ammontare questo patrimonio?
Secondo alcune stime giornalistiche il patrimonio personale si stima intorno ai 40 milioni di euro (esclusi gli immobili), una cifra che però include partecipazioni societarie, liquidità e altri asset difficili da quantificare con precisione.
La prova più concreta di questa solidità finanziaria è emersa durante la crisi stessa: la capacità di versare un aumento di capitale multimilionario di tasca propria per salvare Fenice dimostra la presenza di liquidità immediata disponibile senza dover smobilitare altri asset.
Poi c'è la componente immobiliare, che rappresenta un’ulteriore componente importante del patrimonio di Ferragni. Su tutti va menzionata sua residenza principale a CityLife, oggi valutata circa 24 milioni di euro — acquistata, a suo tempo, per 14 milioni.
Come detto, queste però sono tutte stime…non sappiamo le cifre precise. Facciamo però una riflessione: ipotizziamo che i 40 milioni stimati si siano ridotti a circa 30 milioni in virtù delle difficoltà delle società. In un’ipotesi simile i 6,4 milioni utilizzati per l’aumento di capitale non dovrebbero rappresentare più del 20% del suo patrimonio complessivo.
Appare quindi evidente come seppur Chiara abbia deciso di risanare le sue società, lo abbia fatto, fin’ora, con una porzione contenuta del patrimonio complessivo.
Quanto al restante patrimonio personale, l’augurio per Chiara Ferragni è che parte dei suoi asset siano investiti in maniera tale da generare reddito - reddito che va a compensare le temporanee (si spera per Chiara) entrate ridotte.
Ipotizzando che dei 30 milioni, circa 20 milioni possano essere investibili in attività capaci di generare reddito. Questa cifra banalmente investita in asset risk free, quindi con un rendimento atteso nell’intorno del 3% annuo, genererebbero 600.000 euro di rendita annua…cifra che probabilmente sarebbe un ridimensionamento per il suo stile di vita, ma non la farebbe rimanere in bancarotta.
Da questo caso si evince quanto sia importante che il proprio patrimonio, sia esso multimilionario come nel caso Ferragni o di qualche ordine di grandezza inferiore, sia allocato adeguatamente in asset che rendano, non in passività.
Se ad esempio Chiara avesse la totalità del proprio patrimonio allocato in immobili che non generano redditi ma che anzi richiedono oneri cospicui di mantenimento, questi potrebbero essere un ulteriore elemento di fragilità per la detentrice del patrimonio. E qui la situazione potrebbe farsi difficile…soprattutto qualora non ci fosse un’inversione di rotta dal punto di vista imprenditoriale.
È quindi evidente, come accade anche ai miei clienti talvolta meno patrimonializzati, che avere una giusta composizione del patrimonio sia fondamentale.
Disporre di fonti di reddito diversificate può compensare cali di fatturato, sostenere periodi di crisi, o semplicemente per una persona normale attutire il passaggio da stipendio a pensione, che, come sappiamo, in Italia può comportare riduzioni significative del reddito disponibile e quindi dello stile di vita.
Conclusioni
È ovvio che in questo momento le ambizioni di Chiara si siano ridimensionate, ma se ha saputo diversificare e pianificare durante i periodi di successo, ora può comunque attraversare questa fase di difficoltà con più serenità.
Da questo punto di vista, l'aumento di capitale unicamente a suo carico può configurarsi come un investimento ai minimi storici nel suo stesso brand. Chiara ha ripreso il controllo totale quando il valore ha raggiunto probabilmente il punto più basso. Se riuscirà una discreta risalita, potrà farlo senza spartire i proventi con altri due soggetti influenti.
Il vero tema, quindi, non è se Chiara Ferragni ora sia in “bancarotta” o “in difficoltà economica” - chiaramente non lo è. La questione è se riuscirà a gestire questa transizione complessa:
Chiara, se ad esempio si affida a chi ha adeguata competenza sui mercati finanziari, può sicuramente contare sulla rendita del patrimonio personale e la vera sfida sarà risollevarsi rilanciando il suo progetto imprenditoriale appena ridimensionato.
La differenza la faranno le scelte dei prossimi anni: accettare il ridimensionamento, investire con saggezza quello che resta e trovare nuove strade per ricostruire il suo percorso imprenditoriale. Perché a volte saper ripartire da una base solida vale più che inseguire chimere del passato.
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