L’Italia da decenni non è in una situazione rosea da un punto di vista di conti pubblici e di stabilità politica. Negli anni si sono susseguiti esecutivi poco longevi con la diretta conseguenza di molti cambi di rotta nella politica interna dettati dai continui cambi all’interno della maggioranza di Governo. All’instabilità politica si vanno ad aggiungere altri fattori quali i conti pubblici non brillanti, con un debito pubblico che nel 2023 ha sfiorato i 3000 miliardi di euro, ed un sistema pensionistico traballante per via di problemi endemici del Paese, con la necessità di apportare continui ritocchi alle pensioni al fine di reperire le risorse necessarie per mantenere il pareggio tra contributi versati e pensioni erogate.
Instabilità politica, quanto meno negli anni precedenti al governo Meloni, conti pubblici tutt’altro che a posto, con uno stock di debito pubblico in continua crescita, e sistema pensionistico in difficoltà, con i contributi della forza lavoro che nei prossimi anni potrebbero non essere sufficienti al pagamento delle pensioni di chi per vecchiaia ha interrotto la propria carriera lavorativa, sono i principali tasti dolenti del nostro Paese.
Per via dei fattori appena citati il giudizio delle agenzie di rating sull’Italia è appena sufficiente. In altre parole, le agenzie preposte alla valutazione e al giudizio circa la solvibilità e la solidità di una società o di un Paese emittente di obbligazioni giudicano l’Italia come un paese leggermente al di sopra della soglia dell’affidabilità. La posizione appena al di sopra dell’investment-grade mette l’Italia al centro dei riflettori ogni volta che una delle agenzie di rating deve esprimere il proprio giudizio circa la solidità del Paese, con investitori, politici, economisti e cittadini che tanto temono un potenziale declassamento.
Cosa implicherebbe un declassamento del debito italiano?
Tra le agenzie di rating, quella più temuta e più critica verso il Paese è Moody’s. Nel maggio del 2023 l’agenzia non aveva aggiornato il proprio giudizio sull’Italia, segnalando in un report di aprile 2023 come il Bel Paese fosse a rischio di perdere lo status di investment-grade rischiando conseguentemente declassato nella categoria dei junk bond.
Un declassamento a junk bond da parte di una delle più note delle agenzie di rating seguito dal declassamento di altre agenzie di rating potrebbe implicare importanti problematiche per il Paese. Vediamole nel dettaglio andando a presentare alcune casistiche estreme.
1.Crescita dello spread e aumento della rischiosità percepita nell’investire nel Paese
La prima conseguenza di un declassamento dell’Italia sarebbe una crescita vertiginosa dello spread (https://davideberti.it/blog/cos-e-lo-spread-e-perche-il-suo-aumento-e-un-problema) con la diretta conseguenza dell’aumento del rischio percepito nell’investire nel Paese. La crescita dello spread, ossia l’aumento del divario tra il rendimento del decennale italiano ed il rendimento del decennale tedesco, sarebbe dovuta alle vendite diffuse che molti investitori istituzionali andrebbero ad immettere a mercato per mantenere fede al proprio mandato di investire in obbligazioni investment grade. Oltre agli istituzionali anche i retail potrebbero andare a vendere in massa i titoli di stato italiani sulle paure di un fallimento del Paese.
2. Pesanti svalutazioni negli attivi di fondi pensione, banche e portafogli di investimento degli investitori esposti ai titoli di Stato con più lunga duration
Le vendite diffuse e l’aumento dei rendimenti dei titoli di stato italiani si tradurrebbe in pesanti svalutazioni dei titoli di stato italiani in circolazione. Tra i principali detentori di titoli di stato italiani, oltre alla Banca d’Italia, che possiede circa metà debito pubblico, ci sono investitori istituzionali, banche ed investitori retail. L’effetto della svalutazione dei titoli di stato presenti nell’attivo di bilancio comporterebbe potenziali dissesti: le banche, nel caso lo stress finanziario fosse forte, sarebbero costrette ad aumenti di capitale, con il prezzo delle azioni delle banche quotate che crollerebbe. Le conseguenze di un crollo delle quotazioni delle banche avrebbe un risvolto sociale significativo con potenziali corse agli sportelli. Allo stesso modo anche i fondi pensione, che tra i loro attivi hanno mediamente una buona fetta di debito italiano, vedrebbero forti svalutazioni con la diretta conseguenza di una riduzione dei montanti delle posizioni dei contribuenti.
3. Riduzione dei flussi di capitali esteri nel Paese
Una delle problematiche di un declassamento del debito pubblico a junk bond sarebbe anche la riduzione di afflussi di capitali esteri nel Paese. Aziende ed imprese estere potrebbero preferire altre destinazioni per i propri investimenti vista la poca affidabilità del Paese con la diretta conseguenza di un potenziale rallentamento economico dell’Italia.
4. Maggior costo per interessi per il Paese e conseguente circolo vizioso dannoso per la crescita
La diretta conseguenza dell’aumento dei rendimenti richiesti dagli investitori per prestare denaro all’Italia si tradurrebbe in un maggior costo per interessi per il Paese. L’aumento dei tassi di interesse avvenuto tra il 2021 e il 2023 ha fatto salire la spesa per ripagare gli interessi sul debito contratto, portando la spesa per interessi sul debito al 4,1% del PIL nel 2024 (nel 2021 era pari al 3,6% del PIL). Un maggior costo per interessi potrebbe portare a maggior indebitamento, con l’avvio di un circolo potenzialmente vizioso risolvibile solamente con una decisa crescita dell’economia domestica.
5. Tensioni interne e forti spinte verso un ritorno alla sovranità monetaria da parte dei sovranisti
Nel più estremo degli scenari, con pesanti svalutazioni sui titoli di stato già in circolazione, aumento del costo per interessi per il Paese, aumento dello spread e aumento della rischiosità percepita nell’investire in Italia, prenderebbero piede tensioni interne con i sovranisti che spingerebbero per un ritorno alla sovranità monetaria, imputando all’euro la colpa del declassamento del debito a junk bond e al conseguente effetto valanga generatosi. Tra le principali argomentazioni, lecite qualora si arrivasse agli scenari apocalittici appena descritti, ci sarebbe il fatto di non aver potuto svalutare la moneta per stimolare la crescita in tempi di inflazione praticamente assente (pre 2020), elemento che ha portato l’Italia a mantenere una crescita stagnante negli anni e ai dissesti finanziari sopra citati.
Quanto è probabile che si manifestino tali situazioni?
Le cinque conseguenze di eventuali declassamenti del debito italiano da investment grade a spazzatura sono appositamente rappresentative di situazioni estreme che è però bene conoscere.
Nel 2023 le agenzie di rating, Moody’s a parte, non hanno manifestato particolari preoccupazioni circa la solidità e la solvibilità del Paese. L’Italia, così come le altre economie europee, è stata travolta dall’aumento dei tassi messo in atto dalla BCE per arginare la crescita dell’inflazione nell’area euro, fattore che ha comportato un rallentamento generale della crescita dei paesi dell’eurozona. Punire solamente l’Italia per la situazione generale che si è venuta a creare è quindi sembrato poco sensato alla maggior parte delle agenzie di rating.
D’altra parte, nel caso il debito pubblico del Paese continuasse la sua ascesa vertiginosa, facendo aumentare di fatto il costo per interessi e aggravando la posizione debitoria del Paese, il rischio di un declassamento da parte delle agenzie di rating sarebbe molto più tangibile.
Per i motivi appena citati e per la potenziale rischiosità di concentrare tutte le proprie risorse in strumenti del debito pubblico italiano, allocare i propri capitali in maniera sensata diversificando il proprio portafoglio di investimenti appare essere la principale arma che un investitore ha a disposizione per non esporsi al rischio di declassamento del rating del Paese (https://www.davideberti.it/blog/i-danni-che-l-home-bias-ha-generato-ai-portafogli-degli-italiani-negli-ultimi-20-anni).
Sebbene nelle condizioni attuali il rendimento offerto dai titoli di stato italiani sembri più allettante rispetto al rendimento offerto da titoli di stato francesi o tedeschi (paesi con un merito creditizio elevato), è fondamentale considerare l’impatto che un declassamento di rating potrebbe avere sul proprio portafoglio titoli e sul proprio benessere finanziario.
Il premio al rischio richiesto dagli investitori per investire in Italia è quindi in linea con la maggior rischiosità percepita nell’investire nel Paese, variabile che porta ad affermare come in finanza non esistano pasti gratis. È vero, se acquisti il BTP a 10 anni puoi ottenere più rendimento a scadenza rispetto all’investimento in BUND ma d’altra parte di esponi ad una maggior rischiosità.
Investire diversificando è la miglior strategia che un investitore intelligente può adottare per evitare di incorrere in pensati perdite derivanti dalla scarsa affidabilità creditizia del Paese.
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