Quando un cliente in regime forfettario mi chiede consigli sui fondi pensione, mi trovo spesso a spiegare perché, dal punto di vista finanziario, versare i propri risparmi in un fondo pensione non rappresenta la scelta più efficiente per chi opera in questo regime.
E il motivo è molto semplice: chi è in regime forfettario non beneficia né di deduzioni né di detrazioni fiscali. Ma qual è l’unico caso in cui per un lavoratore in regime forfettario ha senso un fondo pensione? Lo vediamo in questo articolo.
Premessa: perché valutare un fondo pensione?
Il sistema pensionistico italiano, ormai lo sappiamo, sta attraversando un periodo di crescenti difficoltà: la popolazione invecchia e chi dovrebbe pagare la pensione dei pensionati di domani semplicemente non nasce. Abbiamo una bassissima natalità. Ci ritroveremo quindi con una moltitudine di pensionati e una carenza di giovani lavoratori, con il risultato che a lavorare, se non subentrano i giovani, ci rimangono gli anziani.
Se vuoi approfondire la questione fai un giro sul mio sito web dove trovi diversi articoli e video a riguardo.
L'Italia si trova tra i paesi con maggiori problemi di sostenibilità previdenziale a livello europeo, il che significa che le pensioni pubbliche future saranno, con ogni probabilità, molto meno generose di quelle attuali.
In questo scenario, la pianificazione previdenziale non è più un optional ma diventa una necessità concreta per chiunque voglia mantenere un tenore di vita dignitoso dopo il pensionamento.
Tra le soluzioni disponibili per costruire una previdenza complementare, i fondi pensione in diversi casi possono risultare una scelta sensata, principalmente grazie ai benefici fiscali che offrono.
Il beneficio per eccellenza è uno: la possibilità di dedurre al 100% dal reddito imponibile i versamenti fino a 5164,57€ all’anno sul proprio fondo pensione, che, se accuratamente scelto, può risultare un valido alleato per la propria pensione futura.
La deducibilità dai redditi però, come un forfettario deve mettere in conto quando apre partita iva, vale solo per i dipendenti e partite IVA in regime ordinario, quindi ne è escluso.
Ci son però alcuni redditi che possono beneficiare di deduzioni e detrazioni anche per le partite IVA forfettarie, ed è il caso di un mio cliente, Giacomo.
Per comprendere appieno la sua situazione di Giacomo, vale la pena fare un secondo passo indietro e spiegare brevemente come funziona il regime forfettario.
Come funziona il regime forfettario
Il regime forfettario è un sistema di tassazione semplificato per chi ha partita IVA e fattura fino a 85.000 euro l'anno.
Funziona così: invece di dover calcolare tutte le spese realmente sostenute per l'attività, si applica un coefficiente a forfait appunto che varia in base al settore.
Prendiamo il caso di Giacomo, che ha una partita IVA che fattura 60.000 euro il cui coefficiente è del 78%.
La base imponibile su cui calcolare le tasse per Giacomo diventa 46.800 euro (il 78% di 60.000) e, su questa cifra, paga il 15% di imposta sostitutiva, per un totale di 7.020 euro di tasse.
Oltre a quest’imposta sostitutiva ci sono anche i contributi alla cassa di previdenza di riferimento, chiaramente.
I vantaggi sono chiari: niente IVA da gestire, contabilità ridotta al minimo, aliquota conveniente.
Per le nuove attività, l'aliquota scende addirittura al 5% per i primi cinque anni. È facile capire perché molti professionisti scelgano questa strada.
Tuttavia, proprio come nel caso del mio cliente, il problema emerge quando si inizia a pensare alla previdenza complementare. L'imposta del forfettario non è solo "agevolata" - è "sostitutiva". Questo significa che non sostituisce semplicemente l'IRPEF con un'aliquota più bassa, ma elimina completamente la possibilità di utilizzare deduzioni e detrazioni fiscali.
Ed è qui che si manifesta il “problema” di molti forfettari.
I fondi pensione possono essere strumenti interessanti per costruire una pensione integrativa, ma la loro convenienza dipende largamente dai benefici fiscali che offrono. Un lavoratore dipendente o un professionista in regime ordinario che versa nel fondo pensione può dedurre fino a 5.164 euro l'anno dal proprio reddito. Con un'aliquota IRPEF media del 27%, questo si traduce in un risparmio di circa 1.400 euro di tasse. Non male, non pensi?
Per un forfettario, invece, versare nel fondo pensione significa utilizzare denaro già tassato al 15%, senza alcuna possibilità di deduzione. Gli stessi 5.164 euro versati non prevedono quindi un rimborso IRPEF, facendo venire meno il vantaggio di versare nel fondo pensione.
Come funzionano deduzioni e detrazioni
Per capire perché questo aspetto è così rilevante nella pianificazione previdenziale, vale la pena ricordare come funzionano i due principali strumenti di agevolazione fiscale:
- Le deduzioni agiscono direttamente sul reddito imponibile, riducendo la base su cui vengono calcolate le tasse. Se guadagni 50.000 euro e hai 8.000 euro di deduzioni (come spese mediche, contributi previdenziali o interessi del mutuo), le tasse vengono calcolate solo su 42.000 euro. Se la tassazione è al 35% risparmi, o recuperi, il 35% su 8.000.
- Le detrazioni, invece, sono sconti che si applicano direttamente sulle imposte già calcolate. Se devi pagare 10.000 euro di IRPEF e hai diritto a 8.000 euro di detrazioni, verserai effettivamente solo 2.000 euro.
Nel regime forfettario, questo sistema di agevolazioni semplicemente non esiste. L'imposta del 15% si applica sulla base forfettaria determinata dal coefficiente di redditività, senza possibilità di modifiche o ottimizzazioni. È un meccanismo "tutto compreso" che, pur semplificando enormemente la gestione fiscale, preclude qualsiasi forma di pianificazione tributaria.
Il caso di un reddito incassato da un immobile affittato: l’opzione cedolare secca
Il mio cliente era in questa situazione: regime forfettario conveniente per l'attività, ma impossibilità di ottimizzare la previdenza complementare. Quando, durante una delle nostre consulenze, mi ha raccontato di aver iniziato ad affittare un appartamento ereditato, ho subito capito che si stava aprendo uno scenario interessante per Giacomo.
L'appartamento rende 8.400 euro l'anno (700 euro al mese) con un contratto a canone concordato. Gli 8.400 euro percepiti dall’affitto non si cumulano al fatturato di 60.000 euro di Giacomo perché non sono reddito di lavoro autonomo, bensì reddito fondiario.
Sul reddito fondiario Giacomo poteva optare per due opzioni di tassazione: tassazione IRPEF o cedolare secca.
Come fanno 9 proprietari su 10 in Italia, aveva scelto quasi automaticamente la cedolare secca al 10%.
La cedolare secca è diventata così popolare proprio per questa apparente convenienza. È un regime fiscale separato che sostituisce completamente l'IRPEF sui redditi da locazione, applicando un'aliquota fissa: 10% per i contratti a canone concordato, 21% per quelli a canone libero.
E in effetti, a prima vista, sembrava la scelta più logica: significava pagare 840 euro di tasse annue e tenere 7.560 euro netti in tasca. Semplice, lineare, senza complicazioni. Soprattutto, molto più basso del 23% che avrebbe pagato con l'IRPEF ordinaria.
Non solo elimina l'IRPEF, ma anche le addizionali comunali e regionali, l'imposta di registro e quella di bollo. Per la maggior parte dei proprietari, rappresenta effettivamente un risparmio fiscale tangibile.
Ma c'è un dettaglio che spesso sfugge nella valutazione iniziale. La cedolare secca, proprio perché è un'imposta "separata" dal resto del reddito, comporta lo stesso limite del regime forfettario: elimina completamente la possibilità di utilizzare deduzioni e detrazioni fiscali. È un regime che funziona in isolamento, senza possibilità di integrazione con altri elementi della propria posizione fiscale.
Ed è qui che ho iniziato a intravedere una possibilità diversa per Giacomo!
L'alternativa, come detto, era la tassazione IRPEF ordinaria. Questa opzione prevedeva tassare il proprio reddito tramite le aliquote progressive: 23% fino a 28.000 euro, 35% da 28.001 a 50.000 euro, 43% oltre i 50.000. Quindi, nel caso di 8.400 euro di entrate, il 23%.
Per un contratto a canone concordato, la normativa prevede una riduzione del 30% sulla base imponibile, quindi i 10.000 euro dell'affitto sarebbero diventati 7.000 euro di reddito tassabile. Applicando l'aliquota del 23%, si sarebbe arrivati a circa 1.610 euro di imposte - chiaramente di più degli 840 euro della cedolare secca.
Ecco perché, ragionando superficialmente, la cedolare secca sembrava imbattibile.
Ma questo calcolo non considerava un elemento fondamentale: con l'IRPEF ordinaria, quelle stesse deduzioni che il regime forfettario non permetteva di utilizzare tornavano improvvisamente disponibili.
E qui ho proposto al cliente la strategia che ha reso possibile il tutto.
L’opzione con tassazione IRPEF per recuperare la deducibilità
Al rinnovo del contratto, abbiamo rinunciato alla cedolare secca e optato per la tassazione IRPEF. Quegli 8.400 euro di affitto sono diventati reddito IRPEF ordinario, creando uno "spazio fiscale" che prima non esisteva.
Immediatamente dopo, il cliente ha versato esattamente 5.164,57 euro in un fondo pensione aperto efficiente. Questa cifra è diventata completamente deducibile dal suo nuovo reddito IRPEF. Il risultato? La tassazione sul reddito da locazione si è ridotta drasticamente.
Facciamo i conti:
- Il Reddito IRPEF dall'affitto funziona così: l’imponibile come detto si riduce del 30% in virtù del canone concordato. 8.400€ diventano quindi 5.880€ di reddito irpef.
- Deduzione fondo pensione: il cliente ha deciso di versare ben 5.164,57€ nel fondo pensione.
- Reddito IRPEF finale: 715,43
- Imposte da pagare sull'affitto: 164,54
Il risultato? Il cliente incassa i suoi 700 euro al mese extra pagando meno di 14€ al mese di imposte. I soldi restanti, invece di finire nelle casse dello Stato, finiscono nel suo fondo pensione, garantendo un montante futuro non indifferente.
Nel primo scenario, senza il fondo pensione. Marco pagava 840€ di tasse senza poter aderire ad alcun fondo pensione. Nel secondo caso Marco ne paga nell’immediato solo 164,54, potendo allocare 5.164€ all’anno per costruirsi una pensione e contando su più di 3.000 euro come reddito extra grazie alla casa affitata.
La strategia funziona su più livelli. Dal punto di vista fiscale immediato, abbiamo ottenuto la neutralità: nessuna tassa sull'affitto. Dal punto di vista previdenziale, abbiamo risolto il problema del forfettario che non poteva dedurre i contributi.
Ma i vantaggi vanno oltre. Quei 5.164,57 euro nel fondo pensione beneficiano di:
- Tassazione agevolata sui rendimenti: 20% invece del 26% ordinario
- Tassazione agevolata in uscita: dal 15% al 9% a seconda della durata del piano
- Crescita nel tempo: grazie ai rendimenti composti
I vantaggi del fondo pensione
Se infatti quest’operazione si ripete fino al pensionamento un piano d’accumulo da 5164.57 euro all’anno per 35 anni in un fondo pensione genera un montante lordo di circa 550.997€, montante che aiuterà Giacomo a integrare la sua pensione con circa 30.000 euro all’anno di rendita. Lo puoi simulare dal calcolatore presente sul mio sito web.
Naturalmente, bisogna considerare alcuni aspetti positivi e negativi ulteriori: da una parte, rinunciando alla cedolare secca, si paga l'imposta di registro (2% del canone) e quella di bollo, dall’altra è probabile che vi siano ulteriori deduzioni e detrazioni che una partita IVA in regime forfettario così facendo recupera: ad esempio le spese mediche o per eventuali ristrutturazioni, come è stato per Giacomo.
Conclusioni
Questo caso mi ha confermato quanto sia importante guardare la situazione fiscale nel suo complesso. Il regime forfettario e l'appartamento in affitto, presi singolarmente, rappresentavano uno un vantaggio fiscale e l'altro una fonte di reddito da tassare in maniera agevolata con la cedolare secca. Combinati strategicamente, sono diventati il motore di una pianificazione previdenziale che sembrava impossibile.
La soluzione non è arrivata da strumenti complessi o scappatoie fiscali, ma dalla semplice comprensione di come funzionano i diversi regimi e dalla capacità di metterli in relazione. A volte, le migliori strategie nascono proprio dall'interconnessione tra elementi che a prima vista sembrano scollegati.
Per il mio cliente forfettario, Giacomo, quell'appartamento ereditato non era più solo una fonte di reddito passivo, ma era diventato la chiave per costruire il suo futuro previdenziale.
Il fondo pensione non è l’unica pista percorribile per costruire un montante in vista della pensione, ma diventa interessante dome strumento per recuperare denaro altrimenti destinato in tasse.
Ovviamente il caso di Giacomo era unico nel suo genere. In presenza di un canone d’affitto più o meno alto e in presenza di altre forme di entrata (come un reddito contenuto da lavoratore dipendente o un reddito diverso), la strategia potrebbe essere diversa. Ecco perché guardando questo video devi fare molta attenzione alla tua situazione personale.
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