"Aspetto che torni in positivo e poi vendo." Quante volte abbiamo sentito questa frase, o l'abbiamo detta noi stessi? È una delle trappole mentali più comuni nel mondo degli investimenti.
Quando si inizia ad investire una delle decisioni più difficili è quella di ammettere un errore e correggere la rotta. Spesso, l'orgoglio e la paura ci spingono a mantenere posizioni perdenti, aspettando pazientemente che "tornino in pari" prima di vendere. Ma questa strategia, apparentemente prudente, nasconde insidie che possono erodere significativamente il nostro patrimonio nel lungo termine. La verità è che mantenere investimenti inefficienti per il solo desiderio di "recuperare" può trasformarsi in una spirale negativa che amplifica le perdite invece di mitigarle.
Il vero costo dell'attesa
Quando valutiamo un investimento in perdita, tendenzialmente ci focalizziamo solo sul prezzo di carico e sul valore attuale di mercato. Questa visione limitata, tuttavia, ignora due elementi fondamentali che erodono silenziosamente il nostro capitale: i costi di gestione (TER) e il costo opportunità del mantenere posizioni inefficienti. La maggior parte degli investitori tende a sottovalutare questi aspetti, concentrandosi invece sulle performance di breve periodo o sulle previsioni di mercato. Questa miopia finanziaria può risultare particolarmente costosa nel lungo termine.
Per comprenderne l'impatto reale, prendiamo un esempio concreto: un investimento di 100.000 euro in un fondo con un TER del 2% ci costerà oltre 2.000 euro in commissioni all’anno e 20.000 circa nell'arco di dieci anni, anche senza considerare eventuali perdite di mercato. Per contro, lo stesso capitale investito in un ETF con TER dello 0,2% comporterebbe costi per soli 200 euro l’anno (2.000 euro in dieci anni), il 90% in meno. La differenza di 18.000 euro è già significativa, ma rappresenta solo la punta dell'iceberg.
Il TER è particolarmente insidioso perché viene applicato costantemente, anno dopo anno, indipendentemente dall'andamento del mercato. È una sorta di costo di gestione. È però importante notare che il TER non è l'unico costo associato a un investimento: potrebbero esserci commissioni di ingresso, di uscita, di performance e costi di negoziazione.
Questi costi elevati generano infatti un ulteriore danno sotto forma di costo opportunità, poiché quelle commissioni rappresentano capitale che avrebbe potuto generare a sua volta rendimenti. Ipotizzando un rendimento medio di mercato del 7% annuo, il divario di patrimonio accumulato dopo dieci anni tra le due soluzioni potrebbe superare i 30.000 euro.
Grafico 1: Evoluzione investimento nel tempo
Fonte: elaborazione propria Ufficio Studi Davide Berti
Questo significa che la differenza reale non è solo nei costi diretti, ma anche nei rendimenti che avremmo potuto ottenere su quel capitale. In altre parole, ogni singolo giorno in cui manteniamo un investimento con costi elevati, non solo paghiamo commissioni eccessive, ma perdiamo anche l'opportunità di far lavorare quel capitale in modo più efficiente.
L'effetto dei costi composti nel tempo è particolarmente devastante nei periodi di mercato laterale o ribassista. In questi momenti, mentre il valore dell'investimento ristagna o diminuisce, i costi continuano ad accumularsi inesorabilmente. Un TER del 2% in un anno in cui il mercato ha reso il 3% significa che due terzi dei nostri guadagni sono stati erosi dalle commissioni. In un anno negativo, i costi elevati non fanno altro che amplificare le perdite. Come evidenziato dal grafico, l'effetto composto delle commissioni crea un divario che si amplia esponenzialmente nel tempo.
Tuttavia, il vero costo opportunità non riguarda solo i costi diretti, ma la rinuncia a rendimenti più elevati. Se un investimento ha sistematicamente deluso nel corso degli anni, come ad esempio un fondo che ha performato male negli ultimi 30 anni, è probabile che continuare a mantenerlo nel portafoglio impedisca di cogliere opportunità di rendimento superiori. Mantenere uno strumento inefficiente significa non solo continuare a pagare commissioni elevate, ma anche perdere la possibilità di allocare il capitale in soluzioni che potrebbero offrire rendimenti migliori.
In altre parole, se uno strumento ha mostrato performance deludenti per un lungo periodo, la scelta di mantenerlo nel portafoglio comporta un vero e proprio costo opportunità, in quanto stiamo rinunciando a strategie o strumenti che potrebbero generare guadagni più elevati. Ogni anno in cui persistiamo in un errore, perdiamo l'opportunità di far lavorare il nostro capitale in modo più efficiente e produttivo.
Strategie fiscali intelligenti e psicologia dell'investimento
Il processo decisionale in ambito finanziario è fortemente influenzato da fattori psicologici che spesso ci portano a prendere decisioni sub-ottimali. Come approfondito nella serie di articoli dedicati alla Finanza Comportamentale, l'avversione alla perdita è uno dei bias più potenti e studiati: le ricerche dimostrano che la sofferenza psicologica associata a una perdita è circa doppia rispetto al piacere derivante da un guadagno di pari entità. Questo si manifesta chiaramente nella riluttanza a "realizzare" le minusvalenze, anche quando sarebbe la scelta più razionale dal punto di vista finanziario.
Tale comportamento è ulteriormente rafforzato dall'effetto dotazione, un classico bias comportamentale che ci porta a dare più valore a ciò che già possediamo rispetto a opportunità equivalenti o migliori. Questo pregiudizio si combina con il bias di conferma: tendiamo a dare più peso alle informazioni che confermano le nostre convinzioni preesistenti, ignorando i segnali di allarme che suggerirebbero un cambio di strategia. Di conseguenza, spesso ci aggrappiamo a investimenti inefficienti, giustificando la nostra inerzia con ragionamenti che appaiono logici ma sono in realtà guidati dall'emotività.
Per fortuna, il sistema fiscale italiano offre uno strumento concreto per trasformare questa situazione in un'opportunità: la "rottamazione delle minus" in quattro anni. Questo meccanismo permette di compensare le minusvalenze con le plusvalenze realizzate nei quattro anni successivi nell'ambito del "risparmio amministrato". Per esempio, una minusvalenza di 5.000 euro può essere utilizzata per compensare future plusvalenze dello stesso importo, generando un risparmio fiscale di 1.300 euro (con l'aliquota del 26% sui redditi finanziari).
Per sfruttare questa opportunità e superare le trappole mentali, è fondamentale adottare un approccio sistematico e oggettivo (basato sui numeri e sui fatti). Questo significa valutare periodicamente non solo i costi effettivi degli investimenti e le alternative disponibili sul mercato, ma anche la nostra capacità di prendere decisioni razionali al di là dei pregiudizi emotivi. Un buon punto di partenza è chiedersi: stiamo mantenendo questo investimento per ragioni oggettive o stiamo semplicemente evitando il disagio emotivo di ammettere una scelta sbagliata?
Conclusioni
Mantenere un investimento inefficiente nella speranza che "torni in pari" può essere molto costoso nel lungo termine. I costi continui e il costo opportunità erodono il capitale, mentre le opportunità fiscali, come la compensazione delle minusvalenze, vengono spesso ignorate. Il prezzo di acquisto di un investimento appartiene al passato e non dovrebbe influenzare le decisioni future.
Esistono ovviamente situazioni in cui mantenere un investimento ha senso, soprattutto se fa parte di una strategia ben pianificata. È importante dare tempo agli investimenti, ma sempre con consapevolezza. I ribassi temporanei possono essere gestiti se sappiamo cosa stiamo facendo e se il nostro investimento è allineato con il nostro piano a lungo termine.
La chiave è adattarsi e correggere la rotta quando necessario. Ogni giorno in cui manteniamo un investimento inefficiente è un giorno in cui il nostro capitale non lavora al massimo delle sue potenzialità. La vera sfida non è solo nel "tornare in positivo", ma nel riconoscere le opportunità mancate con oggettività a causa dell'inazione.
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