Spread ai minimi: cosa significa davvero per l’Italia

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Partiamo dalle basi: cos'è questo spread di cui tanto si parla sui giornali?

La parola spread deriva dall’inglese e significa “differenza” o “divario”. 

A sinistra abbiamo lo spread 3 anni fa, a destra lo spread oggi.

Grafico 1: Spread BTP-Bund Settembre 2022 (sx) e Settembre 2025 (dx)

   Grafico 1: Spread BTP-Bund Settembre 2022 (sx) e Settembre 2025 (dx)

Fonte: borsaitaliana

È sceso notevolmente. Ed è una notizia positiva per il nostro paese. 

Ma è davvero un merito degli italiani? e soprattutto: che cos'è lo spread?

Che cos’è lo spread

Partiamo dalle basi: cos'è questo spread di cui tanto si parla sui giornali?

La parola spread deriva dall’inglese e significa “differenza” o “divario”. 

Quando si parla di spread italiano, in particolare, ci si riferisce alla differenza di rendimento tra i BTP (titoli di Stato italiani) e i Bund tedeschi (titoli di Stato tedeschi).

Se oggi un BTP a 10 anni rende il 3,5% e un Bund della stessa durata rende il 2,7%, allora lo spread è di 0,8 punti percentuali, ovvero 80 punti base. Ogni punto base corrisponde a un centesimo di punto percentuale.

La sua funziona è di termometro del rischio: ci dice quanto gli investitori considerano rischioso prestare soldi all'Italia rispetto alla Germania. Più lo spread sale, più i mercati chiedono rendimenti alti per compensare il rischio percepito. Più scende, più l'Italia viene vista come affidabile.

Perché si usa proprio la Germania come termine di paragone?

La risposta è tanto pragmatica quanto semplice: l'economia tedesca viene considerata dai mercati finanziari la più solida dell'Eurozona. 

I Bund tedeschi sono percepiti come investimenti a rischio molto basso, quasi pari a zero. Quando gli investitori comprano un Bund tedesco, sono ragionevolmente certi di riavere indietro i loro soldi, con gli interessi previsti. 

Quanto interesse avresti chiesto per prestare soldi alla Grecia nel 2012, quando stava praticamente fallendo? Tantissimo - infatti i titoli greci arrivarono a rendere oltre il 25% annuo, perché nessuno era sicuro di riavere indietro i propri soldi.

Quanto interesse chiederesti invece per prestare soldi alla Germania? Poco, perché è praticamente certo ottenere il rimborso.

E che cosa determina la rischiosità di un paese?

Un primo fattore sono i fondamentali economici: gli investitori guardano fattori come il rapporto debito/PIL, il deficit pubblico e la crescita economica. 

Nel caso dell'Italia, questi numeri spiegano molto del nostro spread. Ad esempio il debito pubblico è al 138% del PIL, uno dei più alti al mondo - per fare un confronto, la Germania è al 63%. Gli investitori vedono questi numeri e pensano: "L'Italia deve ripagare debiti enormi, è più rischioso prestarle soldi in quanto ci uniremmo ad una lista molto lunga di creditori".

La stabilità politica è un altro fattore che il mercato tiene in considerazione. La permanenza di un governo rassicura i mercati in quanto garantisce continuità nelle politiche economiche. In Italia, i governi hanno avuto storicamente una durata media di appena 13 mesi, generando costantemente un clima di incertezza.

E poi ci sono aspettative sul futuro: se i mercati prevedono difficoltà economiche nei prossimi anni, già oggi chiedono rendimenti più alti. Nel caso italiano, i mercati vedono una popolazione che invecchia rapidamente, una produttività stagnante da 20 anni, una crescita del PIL che va a rilento. Questi trend preoccupano per il futuro e si riflettono immediatamente nei tassi di oggi.

Tutti questi fattori vengono valutati e riassunti dalle agenzie di rating, società private che assegnano dei 'voti' ai Paesi. Le tre principali sono Moody's, Standard & Poor's e Fitch.

Ognuna usa una scala leggermente diversa, ma la struttura generale è la stessa. Al vertice abbiamo una tripla A - il massimo dell'affidabilità, rischio praticamente zero. Scendendo troviamo la doppia A, A, tripla B che rappresentano la zona "investment grade", considerata sicura. Poi doppia B, B fino alla D (C per Moody's) che significa default.

La linea spartiacque è la tripla B: sopra sei investibile per i grandi fondi istituzionali, sotto diventi "speculative grade" o "junk bond". Questo confine non è simbolico ma ha conseguenze concrete: se un paese viene declassato sotto questa soglia, migliaia di fondi pensione sono obbligati per statuto a vendere quei titoli, provocando crolli di prezzo e spread in impennata.

L'Italia oggi è a Baa3 con Moody's (equivalente a BBB- nelle altre scale) e BBB con Standard & Poor's - appena sopra la zona rischiosa. La Germania in confronto ha sempre avuto tripla A ovunque, simbolo della sua solidità economica.

Semplificando questa differenza di rating spiega perché esiste lo spread: meno investitori vogliono comprare titoli italiani rispetto a quelli tedeschi; quindi, dobbiamo offrire rendimenti più alti per attirarli.

Eppure, nonostante questi fattori sfavorevoli, a settembre 2025 lo spread BTP-Bund è sceso fino a 80 punti base, uno dei livelli più bassi degli ultimi anni. Come è possibile?

Per capire quanto sia significativo questo dato, facciamo qualche confronto con il passato.

Nel 2011, al culmine della crisi del debito sovrano, lo spread aveva toccato i 550 punti base - l'Italia doveva pagare oltre 5 punti percentuali in più della Germania per finanziarsi. Anche in tempi più recenti, nel 2018 durante le tensioni con l'Europa, eravamo arrivati a 300 punti. Una differenza che può sembrare minima ma che, se si mette in prospettiva rispetto al valore di debito che si deve finanziare, si traduce in centinaia di milioni di euro di spesa di interessi in più. 

Quindi è un’ottima notizia giusto?

Si, sicuramente quando lo spread si riduce è un’ottima notizia per l’Italia. 

Quando lo spread scende, l'Italia risparmia miliardi ogni anno. Con un debito pubblico di oltre 3.000 miliardi di euro, anche una riduzione di 50 punti base (mezzo punto percentuale) si traduce in circa 15 miliardi di euro risparmiati annualmente sui nuovi titoli emessi. 

Se vuoi guardare quanto pesano sulle uscite totali gli interessi, ti consiglio il mio video sull’allocazione della spesa pubblica italiana.

Spread bassi facilitano anche il collocamento dei titoli sui mercati. Gli investitori sono più disponibili a comprare BTP quando il differenziale con la Germania è contenuto, riducendo il rischio che lo Stato non riesca a finanziarsi.

C'è poi un effetto psicologico positivo: spread contenuti migliorano l'immagine dell'Italia, facilitano gli investimenti esteri e creano un clima di fiducia generale che si riflette su tutta l'economia.

Ma c'è un dettaglio importante da chiarire: il merito di questo miglioramento non è tutto nostro. Per capire cosa intendo, dobbiamo guardare a quello che è successo negli ultimi tre anni non solo in Italia, ma anche nei paesi che usiamo come termine di paragone.

Negli ultimi anni, la Germania non sembra più la vecchia “locomotiva” d’Europa. Diversi segnali ne mostrano la fragilità: oltre 3 milioni di disoccupati, un settore manifatturiero in crisi e un PIL in contrazione dello 0,2%. Per far fronte a queste difficoltà, a marzo 2025 il governo tedesco ha annunciato un piano di spesa da 500 miliardi di euro, una cifra che ha subito attirato l’attenzione dei mercati.

Se la Germania ha deluso, la Francia ha fatto ancora peggio. Tradizionalmente vista come più solida dell'Italia, ha attraversato una vera tempesta perfetta. Il deficit è esploso al 5,8% del PIL nel 2024 contro il nostro 3,8%, mentre il debito è schizzato dal 98% al 113% in pochi anni.

L'instabilità politica è diventata cronica: il governo Barnier è durato appena 3 mesi, sostituito da Bayrou caduto dopo altri 8 mesi. Le agenzie di rating hanno reagito: Moody's ha declassato la Francia da Aa2 ad Aa3, mentre Fitch e S&P hanno assegnato outlook negativi.

Il risultato? Oggi i titoli francesi rendono il 3,5%, praticamente come i nostri BTP - una convergenza impensabile fino a poco tempo fa.

In sostanza, siamo "migliorati" di più grazie al fatto che gli altri sono peggiorati piuttosto che per nostri meriti.

Grafico 2: Differenziale dei rendimenti decennali Italia-Francia e Italia-Germania

 Grafico 2: Differenziale dei rendimenti decennali Italia-Francia e Italia-Germania

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Certamente l'Italia non è rimasta del tutto ferma. Alcuni miglioramenti concreti ci sono stati: il deficit pubblico è sceso, rientrando nei parametri europei e anche la traiettoria del debito/PIL mostra segnali positivi. La stabilità politica ha fatto la sua parte. Il governo Meloni, diventato il quarto più longevo della Repubblica, ha dato ai mercati quella continuità che cercavano da anni. A questo si aggiunge il tasso di occupazione ai massimi storici e il miglioramento dell'outlook da parte delle agenzie di rating, passato da "stabile" a "positivo".

Ma attenzione agli eccessi di ottimismo. È vero che il gap con gli altri paesi si è ridotto, ma è stato principalmente per le difficoltà altrui piuttosto che per i nostri meriti. I nostri problemi strutturali rimangono irrisolti: il debito è un fardello insormontabile, pari al 138% del PIL, la crescita fatica e la produttività che ristagna da vent'anni.

Che impatto ha?

Ma questo spread come influenza la vita di noi italiani?

Lo spread non è un numero astratto che interessa solo gli addetti ai lavori: si riflette concretamente nella vita quotidiana, anche se spesso in modo indiretto.

Partiamo dall'impatto più immediato, quello sui conti dello Stato. L'Italia deve costantemente rinnovare i titoli in scadenza ed emetterne di nuovi per finanziare la spesa pubblica. Il costo di questo finanziamento dipende dai rendimenti che lo Stato deve offrire agli investitori.

Se oggi lo spread è a 80 punti base, significa che paghiamo lo 0,8% in più dei tedeschi. Su 100 miliardi di nuovi titoli emessi, questo si traduce in circa 800 milioni di euro all'anno che l'Italia paga in più rispetto a quanto pagherebbe la Germania per la stessa cifra. Se lo spread salisse a 200 punti, quello stesso costo diventerebbe 2 miliardi in più rispetto alla Germania.

Questo "extra" rispetto alla Germania sono risorse sottratte a ospedali, scuole, infrastrutture oppure che devono essere recuperate con maggiori tasse. Ecco perché spread bassi sono una buona notizia: significano che paghiamo poco di più rispetto al paese di riferimento.

Questo a livello macro. Ma a livello personale, del singolo cittadino? 

Dato che parliamo di tassi, anche i tassi che paghiamo sul nostro mutuo vengono influenzati dallo spread?

Se hai già un mutuo a tasso fisso, lo spread BTP-Bund non cambia assolutamente nulla. Il tasso è blindato dal contratto che lo spread salga a 500 punti o scenda a zero. Per il mutuo a tasso variabile vale un principio simile: la tua rata dipende dall'Euribor (che riflette le decisioni della Banca Centrale Europea) più un margine che la tua banca aggiunge. L'Euribor può salire o scendere indipendentemente da quello che fa lo spread italiano.

La situazione è diversa per chi deve ancora stipulare un nuovo mutuo. Qui l'effetto dello spread può esistere, ma è indiretto. Quando lo spread sale molto e per periodi prolungati, le banche potrebbero diventare più prudenti nell'erogare credito o aumentare i propri margini. Non è automatico, ma dipende dalle politiche di ogni singola banca.

Le banche italiane detengono grandi quantità di BTP nei loro portafogli. Quando lo spread sale rapidamente, il valore di mercato di questi titoli diminuisce. È una dinamica finanziaria semplice - quando i rendimenti richiesti dagli investitori aumentano, i prezzi dei titoli già emessi scendono, perché offrono cedole meno competitive rispetto ai nuovi.

Questo crea una situazione delicata per le banche. Si ritrovano con perdite potenziali sui loro bilanci, anche se si tratta di perdite "sulla carta" finché non vendono i titoli. Di fronte a questa situazione, alcune banche potrebbero decidere di essere più prudenti nel concedere nuovi mutui: alzare i margini che applicano, richiedere garanzie più solide, valutare con maggiore severità la situazione economica di chi richiede il finanziamento.

Ma non è una regola automatica. Ogni banca ha una situazione diversa.

Generalizzando, lo spread influenza il clima generale di fiducia nell'economia. Quando è basso, gli investitori esteri diventano più disponibili, le multinazionali pianificano progetti di lungo termine, le startup trovano più facilmente finanziamenti.

Le banche italiane beneficiano direttamente: più domanda di credito, meno sofferenze sui prestiti, BTP in portafoglio che mantengono valore. E banche più forti significano maggiore disponibilità a sostenere l'economia reale con nuovo credito. Questa combinazione spiega in parte gli utili record degli ultimi mesi. 

Se vogliamo trovare un potenziale rovescio della medaglia in questo scenario, questo riguarda chi investe in titoli di Stato. Spread bassi comportano rendimenti più modesti per i risparmiatori.

Conclusioni

Dopo tutti questi numeri e confronti, cosa possiamo davvero ricavare da quanto detto? Forse che l’Italia, proprio come un investitore intelligente, non dovrebbe concentrarsi troppo sul breve termine né misurarsi costantemente con i vicini più o meno virtuosi. Lo spread oggi è basso, segnale positivo, ma la vera sfida resta guardare al lungo periodo, rafforzando i fondamentali con riforme strutturali, investimenti e politiche mirate a consolidare la fiducia dei mercati. Questo ci permetterà di ridurre il costo del debito e utilizzare le risorse per ciò che può aiutarci davvero.

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Davide Berti, consulente finanziario

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In un mondo basato sulle dinamiche economiche, dove troppo spesso le conoscenze finanziarie sono limitate o assenti, verificare la professionalità di un consulente è necessario quanto difficile. Per questo affianco al mio lavoro questo progetto di consapevolizzazione.

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