Il factor investing è una strategia di investimento che si basa su un'idea tanto semplice quanto potente: identificare e sfruttare quelle caratteristiche specifiche dei titoli, chiamate "fattori", che storicamente hanno dimostrato di influenzare in modo significativo i rendimenti di un portafoglio.
Questo approccio si distingue sia dalla gestione attiva tradizionale sia da quella passiva (se volete approfondire questa tematica: Gestione attiva vs gestione passiva. Perché è così difficile battere il benchmark?), posizionandosi come una sorta di "terza via" che combina il rigore scientifico con l'obiettivo di battere il mercato. Del mondo passivo mantiene la trasparenza e l'efficienza dei costi, mentre dalla gestione attiva eredita l'ambizione di generare rendimenti superiori al benchmark di riferimento.
A differenza dell'investimento tradizionale, che si concentra principalmente sull'analisi dettagliata dei singoli titoli attraverso lo studio dei bilanci, delle prospettive di crescita e del contesto competitivo, o della gestione passiva, che mira semplicemente a replicare l'andamento di un indice di mercato, il factor investing adotta un approccio più sistematico e basato sui dati. Non si tratta di cercare l'azienda "perfetta" o di seguire le ultime tendenze di mercato, ma di costruire portafogli che catturino sistematicamente quelle caratteristiche che la ricerca accademica e l'evidenza empirica hanno dimostrato essere premianti nel lungo periodo.
L'idea di base è che selezionando titoli che possiedono determinate caratteristiche (come essere sottovalutati rispetto ai fondamentali o avere una bassa volatilità), gli investitori possano costruire portafogli più efficienti e potenzialmente ottenere rendimenti superiori nel lungo periodo.
Diversamente da quanto si potrebbe pensare, il factor investing non è una novità degli ultimi anni. Questa strategia di investimento è nata negli anni '70, quando alcuni ricercatori iniziarono a mettere in discussione quella che all'epoca sembrava una verità intoccabile nel mondo della finanza: l'idea che i mercati fossero sempre efficienti e che maggior rischio significasse automaticamente maggior rendimento. La teoria (per i più tecnici facciamo riferimento al Capital Asset Pricing Model e alla Efficient Market Hypothesis), sembrava perfetta sulla carta, ma l'osservazione della realtà raccontava una storia diversa.
La vera rivoluzione arrivò negli anni '90 grazie agli studi di Fama e French, che dimostrarono come il rendimento delle azioni non dipendesse solo dal rischio di mercato, ma anche da altri fattori come la dimensione dell'azienda e il suo valore contabile. I due economisti misero in luce come le aziende più piccole e quelle sottovalutate rispetto ai loro fondamentali tendessero a offrire rendimenti superiori nel lungo periodo, sfidando così i principi della teoria finanziaria classica. Questa scoperta ha aperto la strada a nuove chiavi di letture dei mercati finanziari, suggerendo che gli investitori potessero ottenere rendimenti superiori non solo assumendo più rischio, ma anche esponendosi sistematicamente a specifici fattori di rischio premianti.
Questa rivoluzione concettuale ha portato all'identificazione di diversi fattori che, nel corso degli anni, sono stati ampiamente studiati e validati dalla ricerca accademica.
Ma quali sono quindi questi fattori (factors) e come possono essere utilizzati nella costruzione di un portafoglio efficiente?
La definizione dei fattori
Tra i numerosi fattori identificati dalla ricerca accademica, gli Style factors rappresentano il nucleo fondamentale del factor investing. Questi fattori hanno dimostrato di catturare sistematicamente caratteristiche specifiche dei titoli che influenzano i rendimenti in modo significativo e relativamente prevedibile, offrendo agli investitori uno strumento potente per costruire portafogli più efficienti.
I principali Style factors sono: Low Volatility, Quality, Momentum, Value, Size e Yield.
Vediamo nel dettaglio le caratteristiche di ciascuno:
- Il fattore Low Volatility costruisce un portafoglio selezionando i titoli che hanno mostrato oscillazioni di prezzo più contenute nel tempo.
- Il fattore Quality seleziona aziende che presentano bilanci solidi, basso indebitamento e alta redditività. Il portafoglio che ne risulta è composto da società ben gestite, con business model consolidati e flussi di cassa stabili, che tendono a difendersi meglio nelle fasi di mercato negative.
- Il fattore Momentum costruisce un portafoglio investendo nei titoli che hanno mostrato le migliori performance negli ultimi 6-12 mesi. L'idea è che i trend positivi tendano a persistere nel tempo, permettendo di cavalcare l'onda dei vincenti.
- Il fattore Value si concentra sui titoli che appaiono sottovalutati rispetto ai loro fondamentali, sfruttando la tendenza del mercato a sovrastimare le prospettive delle aziende più "alla moda" e a sottostimare quelle delle società più mature o in settori meno attraenti (diciamo una strategia alla Warren Buffet).
- Il fattore Size si basa sull'evidenza che le aziende a minor capitalizzazione tendono a sovraperformare quelle più grandi nel lungo periodo, grazie alla loro maggiore flessibilità operativa e al maggior potenziale di crescita.
- Il fattore Yield premia i titoli che offrono distribuzioni di cassa significative e sostenibili, riflettendo spesso una maggiore disciplina finanziaria e una migliore gestione del capitale da parte del management.
Mentre questi fattori si concentrano sulle caratteristiche specifiche dei singoli titoli, esiste una seconda dimensione del factor investing che guarda al quadro più ampio: i Macro factors. Questi fattori includono ad esempio la Crescita economica, l'Inflazione e le Condizioni finanziarie. Tuttavia, rispetto agli Style factors, i fattori macro sono spesso più complessi da implementare nelle strategie d'investimento, sia per la loro minor prevedibilità sia per la difficoltà nel costruire esposizioni dirette a questi temi. Per questo motivo, vengono generalmente utilizzati più come lenti interpretative per comprendere il contesto di mercato che come elementi diretti nella costruzione del portafoglio.
Negli ultimi anni, con l'evoluzione delle tecniche di analisi dei dati e l'accesso a informazioni sempre più dettagliate, stanno emergendo numerosi nuovi potenziali fattori, anche se la loro efficacia e persistenza nel tempo resta ancora da verificare completamente.
Potenzialità
Numerosi studi accademici e analisi empiriche hanno dimostrato come questa strategia, quando implementata correttamente, sia stata in grado di generare rendimenti superiori rispetto agli approcci tradizionali nel lungo periodo. Questa superiorità emerge chiaramente dall'analisi delle performance storiche dei diversi indici fattoriali Morningstar, raffigurate nel Grafico 1, che mostrano differenziali significativi di rendimento sia rispetto al mercato (in verde: Morningstar US Equities Index) sia tra i diversi fattori. I dati evidenziano come il premio offerto dai fattori sembra non essere fenomeno temporaneo o casuale, ma una caratteristica strutturale che si manifesta attraverso i diversi cicli di mercato
Grafico 1: Performance per fattori (2014-2024)
Fonte: Morningstar
Tuttavia, come si può notare, quello che emerge è come non esista un fattore dominante in grado di sovraperformare costantemente il mercato in ogni condizione. Le performance dei diversi fattori tendono infatti a riflettere il contesto economico e finanziario.
Generalmente, nelle fasi di ripresa economica (vedi Grafico 2), abbiamo osservato una maggiore forza dei fattori Value e Size, che hanno beneficiato del recupero delle valutazioni e della maggiore propensione al rischio degli investitori. Durante i periodi di espansione, il fattore Momentum ha mostrato la sua efficacia, cavalcando i trend positivi consolidati. Al contrario, nelle fasi di rallentamento e contrazione, i fattori Quality e Minimum Volatility hanno offerto una migliore protezione, grazie alla loro enfasi su caratteristiche difensive.
Grafico 2: Fattori dominanti per fase economica
Fonte: Elaborazione Ufficio studi Davide Berti
Per capire meglio il loro potenziale quando si costruisce un portafoglio può essere utile semplificare la loro interpretazione dividendoli in due grandi categorie: quelli orientati al miglioramento del rendimento e quelli focalizzati sulla riduzione del rischio. I primi tendono ad amplificare i movimenti di mercato, offrendo rendimenti potenzialmente più elevati nelle fasi positive ma anche maggiori perdite in quelle negative. I secondi, invece, privilegiano titoli con caratteristiche difensive come bilanci solidi e modelli di business consolidati, garantendo maggiore stabilità.
Di seguito possiamo osservare un’ottima rappresentazione grafica di questo concetto: sul lato sinistro abbiamo l'upside capture, misurato dal grado in cui ciascun fattore sovraperforma l'indice di riferimento (MSCI USA) nei mesi in cui quest'ultimo è positivo, considerando un periodo di 20 anni. L'opposto vale per il downside capture.
Come puoi vedere, fattori come il value e le small cap rientrano chiaramente nella categoria di miglioramento del rendimento, mentre qualità e minima volatilità appartengono maggiormente alla categoria di riduzione del rischio. Il momentum, invece, può comportarsi come uno qualsiasi di questi fattori a seconda di ciò che funziona e delle condizioni di mercato.
Grafico 3: Classificazione fattori (rischio-rendimento)
Fonte: Carson Investment Research
Questa complementarità tra i diversi fattori sottolinea l'importanza di un approccio dinamico e diversificato: non si tratta semplicemente di selezionare uno o più fattori, ma di costruire strategie che possano adattarsi alle diverse fasi del ciclo economico, combinando elementi aggressivi e difensivi per creare portafogli più robusti e resilienti nel lungo periodo.
Osservazioni sulla metodologia
Nonostante le promettenti evidenze empiriche e il crescente interesse della comunità finanziaria, il factor investing merita un'analisi approfondita che vada oltre i risultati superficiali per esaminarne criticamente l'efficacia e i fondamenti metodologici. La letteratura finanziaria ci offre in questo senso spunti di riflessione preziosi, che ci invitano a considerare tanto le potenzialità quanto i limiti di questo approccio.
Un primo elemento di riflessione emerge dall'analisi della composizione dei rendimenti di portafoglio. Diversi studi empirici (come i lavori di Sharpe, Lintner e Mossin ma anche da Fama e French) mostrano come gran parte (fino all’80%) della variabilità dei rendimenti nei portafogli diversificati sia attribuibile al beta di mercato, ovvero all'andamento generale del mercato stesso. Questo significa che, indipendentemente dalla presenza di specifici fattori, il trend complessivo del mercato resta la componente dominante nella determinazione dei rendimenti. Inoltre, è stato evidenziato come i premi fattoriali richiedano spesso orizzonti temporali molto estesi, anche superiori ai 25 anni, per materializzarsi in modo significativo.
Particolarmente rilevante è poi la critica metodologica avanzata dal Professor Marcos López de Prado, professore preso Cornell University e massimo esperto di machine learning applicato alla finanza. Nel suo influente articolo "Causal Factor Investing", de Prado mette in discussione le basi scientifiche stesse del factor investing. Il punto centrale della sua critica risiede nella mancanza di un vero modello causale: molti studi si limitano a identificare correlazioni statistiche, senza fornire una spiegazione convincente dei meccanismi sottostanti che generano i premi fattoriali. Questo problema metodologico potrebbe spiegare perché, dal 2007 in poi, molte strategie fattoriali hanno prodotto risultati inferiori alle attese e, in generale, di come il backtesting di molte strategie sia contestabile (i risultati positivi dei backtest fattoriali, benché possibili, non si sono mai concretamente verificati).
Un ultimo aspetto da menzionare riguarda la praticabilità delle soluzioni di investimento che offrono esposizione ai fattori: la maggior parte degli studi si basa su portafogli long-short, dove gran parte dei rendimenti proviene dalla posizione corta, un aspetto difficilmente replicabile per gli investitori retail.
Queste diverse prospettive ci insegnano che, ancora più che in altre strategie di investimento, nel factor investing è fondamentale adottare un approccio rigoroso e ben ponderato oltre che ovviamente non crearsi aspettative sproporzionate. Se da un lato l'evidenza storica mostra il potenziale di alcuni fattori nel migliorare i rendimenti di portafoglio, dall'altro è essenziale riconoscere i limiti e i rischi di queste strategie, evitando di basare le decisioni di investimento esclusivamente su correlazioni statistiche che potrebbero non persistere nel futuro.
Conclusioni
Il factor investing rappresenta una delle innovazioni più significative nel panorama delle strategie di investimenti degli ultimi decenni, offrendo un approccio sistematico e potenzialmente molto interessante sul profilo del rischio-rendimento.
Tuttavia, le criticità associate a questa strategia sono altrettanto evidenti e meritano un'attenta considerazione. Sebbene un approccio multifattoriale possa aiutare a ridurre gli effetti della ciclicità economica, è cruciale una gestione attenta delle esposizioni e una comprensione profonda delle dinamiche di mercato.
Il factor investing è uno strumento prezioso nel panorama degli investimenti moderni, ma richiede un approccio equilibrato che bilanci le potenziali opportunità, con una chiara consapevolezza dei limiti pratici e teorici della strategia.
In definitiva il successo nell'implementazione di questa strategia dipende in modo determinante dalla capacità di combinare rigore scientifico, flessibilità operativa e una solida comprensione dei meccanismi sottostanti.
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